Esagerato. Parlo dello storico Erodoto, considerato da Cicerone come il «padre della storia».
Secondo lui oggi il mio esercito è composto da oltre cinque milioni di uomini tra guerrieri e personale di supporto.
In più ho 1.207 triremi e circa 3.000 navi da trasporto.
Ma dai.
Siamo tanti, non discuto, ma mai quel numero.
Messi su una strada sola, fossero cinque milioni di uomini, oggi l’avanguardia sarebbe qui alle “porte calde”, mentre la retroguardia ancora ai confini della Persia.
Assurdo.
Come potrei sfamare e dissetare milioni di uomini?
Sinceramente non mi sono messo a contarli uno per uno, ma penso di aver a disposizione circa 200.000 uomini e circa 1.000 navi tra triremi e trasporto.
Un bell’esercito comunque.
Sufficiente per fare quello che non è riuscito a mio padre.
Già, mio padre, Dario I di Persia, detto il Grande.
Il suo astio verso la Grecia era iniziato con la rivolta Jonica. Atene aveva incoraggiato quella rivolta e mio padre aveva voluto punire i greci approfittando anche dell’opportunità di poter espandere il suo impero
Aveva così mandato i suoi emissari in tutte le città greche a chiedere “terra e acqua”, il suo modo per chiedere sottomissione.
Tutte le città avevano obbedito.
Tutte, tranne due, Atene e Sparta.
Che avevano ucciso e gettato nei pozzi i suoi emissari.
Era il 491 a.C. e a mio padre non restò che mettere insieme un esercito per dar loro una lezione.
Aveva affidato le sue milizie ai generali Dati e Artaferne che penetrarono in Grecia distruggendo la città di Eritrea. Puntando su Atene.
Non so cosa andò storto a Maratona.
Noi persiani eravamo numericamente superiori ai greci. Subimmo però una cocente sconfitta.
Più che cocente, tenendo conto che Atene contava 140.000 abitanti mentre il regno persiano decine di milioni. La guerra era finita lì.
Dopo quel fallimento, mio padre, furente, era intenzionato a riprovarci. Alla svelta.
E stava armando un nuovo grande esercito quando la ribellione egiziana lo aveva distolto dalla Grecia.
La sua successiva morte per malattia aveva portato me sul trono.
Io, Serse I, suo figlio, nipote di Ciro il Grande.
Era toccato a me riprendere i preparativi per l'invasione della Grecia. E lo avevo fatto in grande stile.
Per quello sono qui oggi.
Alle “porte calde”, come chiamano questo passo per via della presenza di sorgenti calde.
Siamo nel 480 a.C. dieci anni dopo “l’incidente” di Maratona.
Superato questo ostacolo il mio esercito avrà vita facile ad annettere la piccola e fastidiosa Grecia.
Devo solo superare questo angusto passaggio a picco sul Golfo Maliaco. Le Termopili.
Non volendo avere sorprese e per vedere quanti sono i greci, ho mandato in ricognizione un osservatore a cavallo.
Essendo già nel cuore della loro terra, penso che sicuramente avranno predisposto qualcosa di grande per fermare il mio esercito.
Sono allibito.
L’osservatore è tornato e mi ha riferito che ci sono solo poche migliaia di uomini e nessuna fortificazione.
In questo caso Erodoto ha ragione quando scrive che sono rimasto basito ritenendo ridicolo il comportamento dei greci, pronti al sacrificio.
E’ vero. Per chi viene da nord questo passo è l’unica via di accesso per la Grecia meridionale e per Atene in particolare.
Bloccarlo significherebbe bloccare la mia invasione.
Ma come? Con così pochi uomini?
Mi viene da ridere. Sarà più facile del previsto.
Ho saputo che è stata la lega delle città greche, con Atene in testa, a chiedere di difendere questo passo.
Sparta non era d’accordo. Avrebbe preferito spostare le difese sull’istmo di Corinto, un luogo più facilmente difendibile contro forze superiori. Avevano litigato non poco.
Ma Atene aveva minacciato di uscire dalla lega ritirando la sua flotta, e senza quella flotta era impossibile battere noi Persiani.
Per quello Sparta alla fine aveva accettato la difesa delle Termopili. Non era stato il solo litigio.
Incredibile come davanti ad un pericolo così incombente si finisca sempre col litigare. Vabbè.
Meglio per me, certo, ma il peggio di loro, a quanto pare, lo hanno dato quando è stato il momento di mettere insieme il corpo di spedizione.
Gli Spartani, prendendo come scusa il mese in onore di Apollo Carneo in cui è vietata ogni attività bellica, ha mandato solo 1.000 uomini tra cui 300 spartiati al comando del Re Leonida.
E Atene, con i Giochi Olimpici in corso, ha fatto lo stesso.
“Manderemo il resto dei nostri eserciti dopo la fine della tregua sacra”, avevano detto.
Che peccato.
Che io abbia preso la decisione di avanzare prima del loro arrivo, intendo.
Al momento alle Termopili ci sono quindi solo 7.000 greci a difendere il passo.
E’ vero, sono fermo da quattro giorni.
Convinto che una volta visto il mio imponente esercito i greci si sarebbero ritirati. Mi sono illuso.
Non si sono mossi. Sono ancora lì.
Forse è il caso di iniziare le operazioni.
Ho mandato un contingente di medi e cissi.
L’ordine è chiaro. Prendete vivi i greci e portateli al mio cospetto.
L’ordine era chiaro, ma i miei uomini sono tornati a mani vuote. Forse è il momento di fare sul serio.
Ho mandato un battaglione di “immortali”, l'unità d'élite della mia guardia imperiale.
Perché si chiamano immortali?
E’ solo una questione di numeri.
Sono 10.000 uomini. Sempre e solo 10.000, perché quelli che muoiono vengono subito rimpiazzati.
In pratica “immortali”.
Vabbè, più o meno immortali, dai.
Ricacciati anche loro.
Vi assicuro che sono veramente indignato. Fortunatamente è arrivato al mio cospetto un certo Efialte, figlio di Euridemo, che in cambio di una ricompensa mi ha rivelato l’esistenza di un passaggio segreto che conduce al passo di Anopea, dietro i Greci
Durante la notte gli “Immortali” sono arrivati così alle spalle dei Greci, ma Leonida lo aveva previsto.
I miei hanno trovato i 1.000 uomini del contingente focese.
Sufficienti per rallentarmi, data l’asprezza del terreno.
Ma i focesi non hanno messo nemmeno delle sentinelle.
Alla vista dei miei uomini si sono ritirati sulle alture circostanti.
Il giorno è cominciato.
Ormai i greci si sono accorti della presenza dei miei uomini. Le Termopili stanno per diventare una trappola. Per Leonida e per i suoi uomini, intendo.
Visto che la storia è andata per le lunghe, per il resto dovete aspettare il prossimo thread.
Tranquilli, tanto Leonida e i suoi uomini da lì non si muovono. E io neppure.
Vi garantisco che domani sarà un gran giorno.
Parola di Serse.

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12 Jan
Nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, vi ho raccontato perché sono arrivato alle Termopili.
E come ha aggirato i greci grazie a un certo Efialte che mi ha rivelato un sentiero nascosto tra le montagne. Andiamo avanti.
bit.ly/39m9e3j
Anni fa i Focesi hanno costruito un muro alle Termopili per difendersi dai Tessali. Quando i miei uomini sono andati in avanscoperta hanno visto alcuni greci “intenti in parte a compiere esercizi fisici in parte a pettinarsi le chiome”.
Il resto allora è dietro quel muro.
Ho saputo che dopo varie consultazioni Leonida ha preso la decisione di rimandare indietro il grosso dell’esercito greco rimanendo con i suoi 300 spartani e i 700 opliti tespiesi a difendere le Termopili.
Un sacrificio per permettere loro la ritirata?
Se è così è un folle.
Read 24 tweets
8 Jan
Che ci faccio seduto su una panchina negli spogliatoi dello stadio “The Dell”, lo stadio dei Saints?
Semplice.
Perché questo è il mio stadio. E il Southampton la mia squadra. La squadra dove gioco da sedici anni ormai.
E oggi sono triste, molto triste.
E' passato più di un secolo. Questo stadio infatti è stato costruito esattamente 103 anni fa, nel 1898.
Qualche anno prima, il 21 novembre 1885, i parrocchiani di St. Mary avevano fondato una squadra di calcio, i The Saints, i Santi. Pur senza avere uno stadio di proprietà.
Per questo ne avevano costruito uno nel nord-ovest di Southampton e lo avevano chiamato “The Dell”.
Uno stadio che a oggi ha visto una sola grande vittoria.
La FA Cup nel 1976.
1-0 a Wembley contro i favoriti del Manchester United. Pur giocando, i Saints, in seconda divisione
Read 25 tweets
4 Jan
L’epigrafe sulla mia tomba mi definisce “gloria del genere umano”. Non so.
Avete presente un bambino su una spiaggia che trova, prima una pietra variegata, poi una conchiglia a più colori dinanzi ad un oceano ancora inesplorato?
Ecco, penso di essere stato solo quel bambino. Image
Su quello che mi accadde nell’estate del 1666, nel giardino della mia casa natale di Woolsthorpe, Voltaire ed Eulero ci hanno ricamato sopra.
Una mela in testa, ma via. In testa no di sicuro.
E quando mai.
Forse è il caso di raccontarvi un po’ della mia vita. Dall’inizio. Image
Sono nato appunto a Woolsthorpe, nella Contea del Lincolnshire, il 25 dicembre del 1642.
Secondo il calendario giuliano.
Dieci giorni dopo, il il 4 gennaio 1643, secondo il calendario gregoriano.
Quello che forse non sapete, è che sono nato povero. Molto povero.
Read 23 tweets
16 Dec 20
Si racconta che quell’anno fossero tutti nella mia città. A Vienna nel 1913, intendo.
Tito, Hitler, Stalin, Freud e Trockij.
Arrivai anch’io quell’anno.
Il 25 settembre per la precisione.
Facendo la felicità di mamma Ludmila e di papà Frantisek.
I casi della vita.
Papà era tornato dalla Prima Guerra Mondiale sano e salvo.
Giocava nell’Herta Vienna quando subì un colpo ai reni durante uno scontro di gioco.
Rifiutò di farsi operare.
Lui aveva 30 anni quando morì. Io solo otto.
Mamma si mise a fare la cuoca in un ristorante per mantenere noi figli.
Ero piccolo e mi piaceva giocare col pallone, come papà.
Essendo poveri, senza scarpe naturalmente.
Bravo ero bravo. E soprattutto veloce.
Read 21 tweets
11 Dec 20
Vi giuro, ho fatto quello che potevo.
E’ tutto registrato. Il radiocronista Andrew West lo stava intervistando.
“Sono qui. Rafer ha afferrato l’uomo che ha sparato. Prendigli la pistola. Il dito…il dito…prendi l’arma Rafer. Bravo, l’hai preso”.
L’ho preso, bloccato, è vero, ma troppo tardi. Quel giorno di più non potevo fare.
E mi dispiace. Da morire.
Non essere riuscito a salvargli la vita, intendo.
Un dispiacere che non ho mai dimenticato.
Mi chiamo Rafer Johnson e sono nato a Hillsboro, Texas, il 18 agosto 1934.
Papà voleva darci un futuro migliore di una baracca senza elettricità e impianto idraulico. Per questo, all’età di nove anni, ci eravamp trasferiti con mio fratello Jim a Kingsburg, in California.
Read 25 tweets
8 Dec 20
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/2IpDy3y
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline. Con quei bei cannoni tutti neri. Il morale alto. Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli". Il primo sparo? Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer. Resistemmo fino all’impossibile. Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata. Un durissimo colpo. (Bragation morirà il 12 settembre) Image
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