Sono le 6.35 del 24 gennaio 1979, a Genova, quando Guido Rossa esce per andare al lavoro all’Italsider.
È solo, nonostante sia in grave pericolo.
Ha rifiutato una scorta di colleghi sindacalisti.
«Non voglio far rischiare la vita ad altri»
Lo Stato, dal canto suo, non gli ha fornito protezione, ma consigliato di comprarsi una pistola.
Tutti quanti, in modo diverso, hanno lasciato Guido da solo, di fronte alle minacce delle Brigate Rosse. Guido è diventato un obiettivo pochi mesi prima.
Il 25 Ottobre 1978 Guido, con altri operai, trova nello stabilimento Italsider alcuni volantini con la stella a cinque punte delle B.R. e nota il collega Franco Berardi allontanarsi in bicicletta.
Guido, che è sindacalista, consegna i volantini al Consiglio di fabbrica.
Il Consiglio contatta la vigilanza interna per cercare Berardi nelllo stabilimento.
Alle quattro del pomeriggio Berardi, fermato e consegnato ai carabinieri, risponde: «Mi dichiaro prigioniero politico».
I militari carabinieri forzano il suo armadietto e trovano altri volantini.
Ci sono anche targhe di veicoli che potrebbero costituire obiettivi di azioni brigatiste, ma per procedere contro Berardi bisogna formalizzare una denuncia.
I sindacalisti e i responsabili della vigilanza seguono i militari in caserma, ma al momento della denuncia chi la firma?
Per rafforzare la denuncia, ma proteggere i singoli i lavoratori propongono di firmare come “gli operai dell’Italsider”.
Ma per un’azione penale servono firme di persone identificabili.
Il Consiglio di fabbrica rimane spiazzato, tentenna, si divide.
Qualcuno ha paura di mettere nome e cognome su quel foglio: se le BR sono state capaci di rapire e uccidere Aldo Moro, come può difendersi un singolo operaio? Ma c’è anche chi non si sente di tradire un collega, anche se sostiene il terrorismo.
«Firmo io» dice Guido Rossa.
L’ufficiale dei carabinieri è preoccupato: «Rossa, così lei rischia troppo».
«Sono consapevole di quello che faccio» insiste lui, e firma.
Un solo uomo, un singolo sindacalista si carica addosso la scelta di un’intera categoria di lavoratori.
Berardi va a processo e Rossa è il solo a testimoniare contro di lui.
Berardi è condannato a 4 anni e 6 mesi di carcere per la sua appartenenza alle BR.
A Genova, sui muri, appaiono le scritte «Rossa spia», «Rossa delatore» –, segno che le B.R. hanno accusato il colpo.
Per la prima volta un operaio e un sindacalista, da una fabbrica, a condanna il terrorismo apertamente. Tra i terroristi si accende una disputa: punire Rossa o risparmiarlo, perché operaio e sindacalista?
Prevale la linea della durezza.
Così, quel 24 Gennaio, quando Guido esce di casa, i brigatisti scendono da un furgone, armati.
«Guido Rossa» lo chiama nel silenzio, alle spalle, una voce che è già una sentenza.
Lui accelera e continua a camminare, raggiunge la Fiat, sale dal lato del passeggero.
Due uomini lo raggiungono e gli sparano quattro volte alle gambe, poi si allontanano, mentre lui urla dentro la macchina, ferito.
Ma il terrorista Riccardo Dura pensa che "le spie vanno uccise" così torna all'auto, sfonda il finestrino e finisce Guido Rossa sparandogli al cuore.
La figlia di Guido, Sabina, quando esce per andare a scuola passa vicino all’auto, ma non vede il cadavere del suo papà, rannicchiato sui sedili davanti.
Lo trova uno spazzino.
Le B.R. rivendicano l’omicidio e mentono, parlando di “reazione ottusa” di Guido che non c'è stata.
La scelta omicida dei brigatisti, però, si ritorce contro di loro.
Ai funerali di Rossa 250.000 persone fra gente comune, uomini delle istituzioni e lavoratori scendono in strada con il presidente Sandro Pertini in lacrime, e i segretari di tutti i partiti politici italiani.
La gente urla «Fascisti e brigatisti non passerete mai, insieme a Guido Rossa ci sono gli operai» e «Le nostre idee non moriranno mai, Guido è vivo e lotta insieme a noi».
I lavoratori si oppongono a quel terrorismo che nei luoghi di lavoro a lungo aveva trovato accoliti.
Sandro Pertini chiede di andare a parlare coi portuali e attacca frontalmente le Brigate rosse.
I lavoratori, prima incerti poi sempre più convinti, lo applaudono.
La morte di Rossa genera un’ostilità insuperabile.
È una “punizione esemplare”, ma per le BR.
L'organizzazione, rapidamente, conosce i primi pentimenti.
Un anno dopo, vicinissimo a via Ischia dove abitava Guido Rossa, scatta il blitz dei carabinieri nel covo di BR di via Fracchia, durante il quale muore Riccardo Dura, killer di Rossa.
Tre anni dopo l’arresto di Mario Moretti, organizzatore del sequestro di Aldo Moro, segna l’inizio della fine del gruppo terroristico.
Diceva Guido Rossa: "È nello spazio che separa la classe operaia dallo Stato che il terrorismo si insinua. Dobbiamo riempire questo spazio".
Ma è stato lui, da singolo uomo, a colmarlo per primo.
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FINE
Questa storia, qui ridottissima per esigenze di spazio, è inclusa nel mio ultimo libro “Come fiori che rompono l’asfalto – Venti storie di coraggio (Rizzoli)”. rizzoli.rizzolilibri.it/libri/come-fio…
Con disegni di Piero Macola
(Per chi volesse approfondire la singola vicenda di Guido Rossa esiste il il libro “Uccidete Guido Rossa”, edito da Castelvecchi e recentemente aggiornato, scritto da Massimo Razzi e Donatella Alfonso.
A Donatella mi sono rivolto per la revisione del mio molto più umile testo).
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Oggi Google ha dedicato il suo Doodle a Terry Fox, che nel 1976, a 18 anni, scopre di essere affetto da osteosarcoma, tumore maligno che tende a espandersi dalle ginocchia a muscoli e tendini con frequenti metastasi polmonari.
Ha il 50% di probabilità di salvarsi con la chemio.
Terry, a soli 19 anni, subisce l’amputazione della gamba destra per fermare il male, gli viene impiantata una protesi e affronta una chemioterapia di 16 mesi.
Ancora sotto chemio, gioca a basket nella nazionale per atleti in carrozzina, diventando 3 volte campione canadese.
Si allena per mesi, poi corre una prima maratona, nonostante la gamba artificiale gli renda molto dolorosa la corsa.
Finisce ultimo, a dieci minuti dal penultimo, accolto con commozione dal pubblico e, a fine gara"Voglio tentare l’impossibile, per mostrare che può essere fatto”.
"Le SS mi hanno ucciso due meravigliose nipotine, ma io ho salvato i bambini di tutta l'Europa. Non la trovate una splendida vendetta?" disse Albert Sabin del suo vaccino contro la poliomielite.
In realtà ha salvato bimbi di tutto il mondo, visto che da pochi giorni l'Africa...
...è stata dichiarata definitivamente libera dalla malattia.
Dietro la medicina emergela storia di questo dottore, nato in Polonia come Albert Saperstein, semicieco dall’occhio destro, fuggito a 15 anni negli USA per sfuggire alla persecuzione antisemita sotto lo zarismo.
Una parte della famiglia resta in Polonia e Albert apprenderà della morte delle due nipotine, Amy e Deborah uccise dai nazisti.
Dopo aver studiato da odontoiatra, vira alla microbiologia e alla cura della poliomielite che scatena ancora gravi epidemie negli Stati Uniti.
C’è una terza persona, sulla macchina dove viaggiano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, il 23 Maggio 1992.
Sul sedile posteriore c'è Giuseppe Costanza, dipendente civile della Giustizia adibito a condurre mezzi speciali.
Costanza non è lì per caso.
Lui è l'autista di Falcone da 8 anni.
Costanza è l’uomo che Falcone informa dei suoi spostamenti, affinché raduni la sua scorta. Da lui si fa tagliare anche i capelli davanti a un caffè, perché prima di quell’incarico è stato barbiere.
C’è Costanza con lui quando a Bagheria
vengono uccisi i familiari del pentito Marino Mannoia. Falcone vorrebbe andare a Bagheria, poi decide di no, è troppo pericoloso.
Ma quando, per una serie di fattori, c’è la possibilità che ci vada da solo il suo autista lui si oppone. “A Costanza non lo lascio solo”.
Oltre a due figlie femmine, Alcide Cervi ha sette maschi, tutti contadini come lui.
I ragazzi hanno nomi importanti, alcuni epici, quasi preludio di un destino tragico quanto quello paterno: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.
La piccola azienda...
...agricola di famiglia fuori Reggio Emilia è all’avanguardia rispetto ai tempi, perché i Cervi leggono, s' informano, cercano di modernizzare il lavoro anche il trattore, macchina rivoluzionaria.
In casa creano una sorta di biblioteca popolare, parlano di libri ai compaesani.
Nel 1943 Aldo, il figlio di Alcide più schierato politicamente (prima nel Partito Popolare poi nel PCI) e già incarcerato, intesse contatti sempre più forti con la famiglia Sarzi e la rete antifascista di Dante Castellucci,
La casa dei Cervi diventa un ritrovo di antifascisti.
A grande richiesta, tutto di seguito, #ricchiepoveri story
Franco (perito della Esso) e Angelo (operaio Italsider) iniziano come duetto, i Jet.
Poi, in un locale incontrano Angela che porta un'amica con cui condivide la passione del canto: Marina.
Angelo e Angela si fidanzano. Lei lo convince a cantare, anche se lui sarebbe chitarrista.
Quando si lasciano, restano amici.
I quattro iniziano a suonare insieme come gli ABBA, il quartetto adotta un acronimo fatto con le loro iniziali: FAMA ovvero Franco Angelo Marina Angela.
Uno dei primi a credere nel gruppo è Fabrizio De André che gli fa fare un provino a Milano. Il provino non va bene ma De André non cambia idea: "Questi di musica non capiscono nulla, ma voi avrete successo comunque".
A sostenerli, finanziandoli anche, è Franco Califano.
La mattina del 5 Agosto 42, dall'orfanotrofio del ghetto di Varsavia, esce un uomo alla testa di un corteo di bambini che si tengono per mano e cantano.
Portano una bandiera con la stella di Davide.
Sono destinati al campo di concentramento di Treblinka
L'uomo che li guida è Janusz Korczak, grandissimo medico, pedagogo, scrittore di origine ebraica che ha dedicato la vita agli orfani, essendo lui stesso orfano.
Nel 1912, con l'educatrice Stefania Wilczyńska, apre "La casa dell'Orfano" in una zona povera di Varsavia.
Korczak, ispirandosi ai principi più moderni della pedagogia, cancella ogni vessazione.
"Non calpestare, non umiliare, non fare del bambino uno schiavo di domani; lasciar vivere senza scoraggiare né strapazzare né far fretta” scrive ne "Il diritto del bambino al rispetto".