Odio essere chiamato Caligola.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Te lo ripeto Johannes, dato che alla tua veneranda età stai perdendo colpi.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Gaio Cesare una volta diventato Imperatore.
O anche solo Gaio. Chiaro?
«Scusa Cal…ops Gaio. Datti una calmata, perché ti alteri? D’altronde le fonti storiografiche sono scarse. Una delle poche cose certe è il perché ti chiamavano Cal…quella roba lì, insomma. Eri piccolo e giravi nell’accampamento di tuo padre indossando quelle calzature».
Ricordo. I soldati di mio padre indossavano le caligae. Essendo le mie molto piccole le chiamavano col diminutivo di caligulae.
Sono cresciuto tra i soldati che scherzando mi chiamavano in quel modo.
Però odiavo quel soprannome.
E lo odio tutt’oggi. Quindi regolati.
«Va bene. Chi oserebbe contraddirti data la tua fama. Non proprio esemplare, anche se, come sempre accade, in alcuni punti menzognera.
Come quella cosa che non cito perché, ne sono certo, ti farebbe arrabbiare ancora di più.
Quindi passiamo oltre».
Spero che quella cosa non sia quella che penso. Comunque, non è che ci sia molto da raccontare.
Sono nato ad Anzio il 31 agosto del 12, terzo figlio di Agrippina maggiore e di Germanico Giulio Cesare.
«Ti devo confessare che ho fatto fatica seguire passo passo l’albero genealogico della tua dinastia, la giulio-claudia.
Un bel rompicapo. Non solo per i matrimoni, o per le paternità naturali, ma per le continue adozioni.
Roba da perderci la testa».
È l’età, Johannes, fidati.
Per quanto riguarda la mia posizione è tutto molto semplice.
Io sono figlio di Giulio Cesare Germanico.
Che alla nascita si chiamava Nerone Claudio Druso. Che poi divenne Nerone Claudio Druso Germanico
Che tutti però chiamavano solo Germanico.
«Mi sembra tutto chiaro.
Tuo padre Germanico era figlio di Druso Maggiore che era il fratello di Tiberio.
Quindi tuo padre era nipote di Tiberio.
Da non confondersi con Tiberio Gemello che invece era figlio di Druso minore, figlio unico di Tiberio.
Tutto molto semplice direi».
Visto? Comunque ti ricordo che alla dinastia giulio-claudia appartengono i primi cinque imperatori romani, che governarono l'impero dal 27 a.C. al 68 d.C. Per primo Augusto, poi Tiberio che era stato adottato da Augusto e poi come terzo il più grande di tutti.
Amato e riverito.
«E bugiardo. Ma se alla fine ti odiavano tutti, dai. Andiamo avanti.
Nel 37 la morte dell’Imperatore Tiberio, che nel frattempo aveva nominato due eredi.
Uno era il figlio di suo figlio Druso minore, Tiberio Gemello, e l’altro il figlio di suo nipote Germanico. Che poi eri tu».
Lo sapevano tutti che lui non era figlio di Druso Minore, ma del pretorio Seiano.
E poi aveva solo quindici anni, dieci anni meno di me. Avevo l’appoggio dell’esercito e il Senato annullò il testamento di Tiberio. Io l'imperatore
Dai, era fuori di testa quando l’aveva scritto.
«Se lo dici tu.
Era il 18 marzo del 37.
Per l’occasione organizzasti feste e banchetti gratuiti per tutti.
Giusto organizzare una festa, ma farla durare sette mesi è sembrato esagerato.
Sette mesi di bagordi gratis.
La gente di Roma all'inizio ti amava anche per questo».
E l’amnistia ai condannati? E la costruzione dell'acquedotto, e di un nuovo anfiteatro?
E gli edifici e templi a Siracusa? Ho rinnovato i porti di Reggio Calabria e della Sicilia per aumentare l'importazione di grano dall'Egitto. E del terremoto che distrusse Antiochia di Siria?
«Vero. La città andò distrutta e tu iniziasti i lavori di ricostruzione. Bravo, ma nel frattempo, dopo una brutta malattia che ti causava continui svenimenti, ti sbarazzasti di Tiberio Gemello.
Non eri stato malaccio, ma dopo quella malattia la tua condotta morale precipitò».
Avevo sbalzi d'umore, soffrivo di allucinazioni e d'insonnia, quindi?
E poi un sacco di paranoie. Ma non ero "un pazzo dotato di una follia sanguinaria", come hanno scritto. Andavo a letto con le mogli di tutti, spendevo un sacco di soldi e uccidevo per divertimento. Ero pazzo?
«Insomma. Preferisco non rispondere.
Riguardo la pazzia c’è sempre quella faccenda che abbiamo preferito non affrontare.
Forse sarebbe il caso di fare chiarezza, non credi?
In pratica. Hai o non hai nominato senatore il tuo amato cavallo Incitatus?»
Grrrr mi fai venire una rabbia.
Ma ti pare che nominavo senatore il mio più grande amore?
Io quelli li odiavo. I senatori, intendo.
Li avevo sempre odiati, fin dall’inizio.
Altro che devotus animus. Non li sopportavo.
E loro non sopportavano me. Ma lo hai letto Svetonio?
«Letto. Scrive che oltre a una stalla di marmo e mangiatoia d’avorio avresti desiderato destinargli un consolato.
Anche Cassio Dione Cocceiano scrive che lo invitavi a pranzo a mangiare chicchi d’orzo dorato con la promessa di nominarlo console».
Console, non senatore, console.
Ed era solo una promessa.
Dillo a tutti quelli che continuano a denigrarmi.
Magari lo avrei fatto se non mi avessero ucciso dopo solo quattro anni, il 24 gennaio del 41.
Maledetti.
Solo perché volevo restaurare la monarchia.
«Non era solo per quello, dai. Avevi condannato a morte molti cittadini che avevano protestato per un aumento esagerato delle tasse. Non era più possibile continuare a sopportare le tue follie. Un gruppo di pretoriani ti uccise.
Avevi ventinove anni ed eri imperatore da quattro.
È vero. È tempo di andare.
Ficcatelo bene in testa.
E fallo sapere a tutti.
Non chiamatemi con quel soprannome.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, Gaio Cesare una volta diventato Imperatore o solo Gaio.
E non ho mai nominato senatore il mio cavallo.
Chiaro?
«Chiaro Caligola.
Che fai, fermo, tieni giù le mani.
Aiutooooo.
Gaio, giuro ho detto Gaio.
Ahi!».
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Lo sapevo che prima o poi sarebbe toccato a me, uno dei matematici più celebri al mondo. Non solo. Filosofo, fisico, astronomo e inventore.
Ti ringrazio Johannes per avermi interpellato.
Da dove vuoi cominciare? Dall’inizio?
Sono nato nel 287 a.C. nella città di Siracusa.
«Lo so dove sei nato Archimede.
E so anche che durante la tua vita ti sei occupato di matematica, geometria, piana e solida.
E poi di astronomia, di ottica, di meccanica, d’idrostatica.
Ma ti ho interpellato per un’altra cosa.
Vorrei parlare con te di…»
Lo so. Lo so. Vuoi che ti racconti la mia infanzia ad Alessandria, capitale culturale del mondo ellenistico. Andai lì per i miei studi di matematica, ma i miei interessi spaziavano dalla musica alla politica, dalla poesia all’astronomia, e poi l’arte e le tattiche militari.
Perché tutti conoscono Leonida mentre nessuno conosce il sottoscritto?
Perché tutti conoscono le sue gesta e nessuno le mie? Lo chiedi a me? Non so Johannes, me lo devi dire tu.
Tra l’altro, come hai raccontato, fu vera gloria quella del re spartano? O un sacrificio inutile?
«Sinceramente non lo so. Comunque conosciamo poco di te prima di quelle imprese.
Quel poco che sappiamo lo dobbiamo agli storici Diodoro e Plutarco. Provenivi da una nobile famiglia corinzia. Quindi un’infanzia agiata e tranquilla.
E poi la carriera militare».
Sì, nel 366 a.C. ero il secondo in comando di un esercito di 3.000 uomini. Avevo il compito di difendere l'istmo di Corinto.
C’era l’eventualità di un tentativo d'invadere il Peloponneso.
Poi lui decise di occupare l'Acrocorinto, l’acropoli di Corinto. Per diventarne il tiranno
Sinceramente non capisco perché vuoi scambiare quattro chiacchiere con me, Johannes.
Su Wikipedia ci sono poche righe sulla mia vita
e nessun ritratto o scultura che mi rappresenti.
A chi può interessare quello che ho fatto, come ho vissuto e come sono morto?
«Per me non esistono piccole storie.
Chuck Palahniuk ha scritto: “Scommetto che se tu dipingessi quello che hai nel cuore, finirebbe appeso in un museo”. Io ti dirò di più.
Se ognuno di noi potesse dipingere la propria vita, tutti i quadri finirebbero in un museo».
Prendo atto. Da dove cominciamo?
So che tempo fa hai parlato con mio padre, Pericle.
Per tre sere consecutive.
Certo, lui ha avuto una vita intensa, un grandissimo. Aveva certo molte cose da raccontarti.
Sì. Johannes, la frase «un’altra vittoria così sui Romani e sarò perduto» è mia.
Per vincere l’avevo vinta quella battaglia, ma quale prezzo. Una vittoria inutile.
Ero convinto che i Sanniti si sarebbero ribellati ai Romani.
O gli Etruschi, o i Latini almeno. Invece.
«Già. Credo tu stia parlando della battaglia del 279 a.C., quella di Ascoli Satriano nell’attuale provincia di Foggia. In realtà le tue perdite, 3.500, furono inferiori rispetto ai Romani dei consoli Publio Decio Mure e Publio Sulpicio Saverrione, che persero circa 6.000 uomini»
E’ vero, i loro caduti venivano però rimpiazzati alla svelta. Per me era più complicato farli arrivare dall’Epiro.
Per quello contavo sulla ribellione di quei popoli.
Da alleati le cose sarebbero andate diversamente.
La battaglia di Malevento avrebbe avuto ben altro esito.
Ho letto i giornali.
Il 18 febbraio 2021 alle 20:55 UTC, il Rover Perseverance, soprannominato Percy, è atterrato su Marte.
Non ho detto “ammartato” altrimenti li sentivi quelli della brigata dei Crusconi.
Come chi sono? L’Accademia della Crusca, perdinci.
Tutti a parlare e scrivere di Perseverance.
Eppure su Marte non ci sarebbe mai arrivato senza il suo contributo. Quello del razzo Atlas V, intendo.
E quindi senza il mio contributo.
Mio e di lei, soprattutto.
Senza di noi, niente Marte.
Non sono stato il primo, e nemmeno il più importante, ma nella conquista dello spazio mediante razzi propulsori un pochino di merito è anche mio. Chi ha iniziato?
Bisogna andare indietro nel tempo, quando la conquista si fermava all’aria. Alle rondini volanti dei bambini di Rodi
Cosa darei per vincere questo torneo? C’è gente che sarebbe disposta a tutto anche solo per essere presente come spettatore, figuriamoci come protagonista in campo. Dicono che non posso vincere. Sono d'accordo.
In conferenza stampa ho detto che «Darei una mano pur di farcela».
C’è sempre dell’ansia prima di entrare in campo.
Ci si veste, poi i soliti riti scaramantici, e infine qualche minuto seduto in attesa della chiamata.
Tra poco sfiderò in finale, sul manto erboso del Centre Court di Wimbledon, il vincitore dell’anno scorso.
Numero uno al mondo
Non ci sopportiamo. Vecchia ruggine per questioni di patriottismo.
Non avendo risposto a una chiamata della nazionale per giocare delle amichevoli lo avevo definito “antipatriottico”. Una causa di risarcimento in corso. Siamo diversi. Non solo per il colore della pelle.