Il 25 marzo scorso Venezia ha compiuto 1600 anni.
La sua nascita viene raccontata in “Chronaca Altinate”, anche se la data non è storicamente provata.
Ma non è importante per l’impresa che sto per raccontarvi.
Una delle più grandi di Venezia, forse la meno conosciuta.
Era il dieci dicembre del 1438.
Un rumore sordo tra i boschi del Trentino con i taglialegna che stanno avanzando, senza conoscere ostacoli. Gli alberi che cadono uno dietro l'altro.
Cosa sta accadendo? Di cosa stiamo parlando?
Per comprenderlo, dobbiamo fare un passo indietro.
Al 1410, quando la Repubblica di Venezia sa di essere una potenza nel mare (Stato da Mar), ma comprende anche che l’impero bizantino prima o poi cadrà sotto le lame degli Ottomani.
Ha un sacco di interessi commerciali e monetari in Oriente e appoggia la resistenza bizantina.
Appoggia Costantino XI, ma ha già fatto sapere a Maometto II che Venezia è pronta a servire il nuovo sovrano. Non si sa mai. Il commercio è commercio.
Palazzo Ducale ha preso la decisione.È tempo, per Venezia, di diventare una potenza, non solo nel mare, ma anche nell’entroterra
Venezia ha così conquistato importanti città come Verona e Padova, e dieci anni più tardi il Friuli.
Nel 1426 e 1428 sono diventate veneziane pure le città di Bergamo e Brescia con i relativi contadi.
E i loro giacimenti di ferro.
In realtà Brescia si è offerta senza colpo ferire.
Meglio controllo lagunare dei veneziani che il dispotico controllo visconteo.
In risposta il duca Visconti lancia una poderosa offensiva.
Di conquista in conquista arriva fino al lago di Garda.
Siamo nel 1438. Per rientrare in possesso dei giacimenti di ferro, Filippo Maria Visconti, duca di Milano, incarica il condottiero Niccolò Piccinino di riconquistare Brescia.
Che circonda la città con 20.000 soldati e 80 bombarde. Per Venezia è un duro colpo.
Brescia è sotto assedio e alla fame.
Chiede aiuto a Venezia, ma è impossibile portare uomini e vettovagliamenti via terra, troppo pericoloso.
Le truppe di Milano hanno occupato la via.
Aveva provato il Gattamelata, ma da nord era stato sconfitto dalle truppe del Piccinino.
Ormai gli eserciti viscontei hanno occupato Peschiera del Garda e Desenzano.
Impossibile un’offensiva via terra da parte veneziana.
Brescia è ormai allo stremo. Sta per soccombere. L’unica via libera è la sponda settentrionale, Torbole e Riviera del Garda.
Che fare quindi?
Primo dicembre 1438. Senato della Serenissima.
La discussione è animata. Parecchio animata.
Come salvare Brescia?
Può la “Serenissima” Venezia, una potenza nel mare Mediterraneo, arrendersi una volta messi i piedi a terra?
All’improvviso due persone chiedono di parlare.
Sono l’ingegnere Biaso de Arboribus e l’esperto marinaio di Creta (veneziana) Nicolo Sorbolo.
"Noi un modo per arrivare al lago di Garda e salvare Brescia lo abbiamo", dicono.
"Possiamo far risalire una flotta lungo l’Adige, dall’adriatico fino a quasi sotto Rovereto”.
“Da qui le trainiamo via terra attraverso i boschi del Trentino fin sulle pendici del Monte Balbo e poi le facciamo scendere e le rimettiamo in acqua a Torbole, sul lago di Garda"
La proposta è scioccante.
"Una volta trasportata la nostra flotta via terra, attraverso i monti, la capacità marinaresca assicurerebbe una vittoria certa".
Detto fatto. Il Gran Consiglio approva.
Nome del progetto: ”Galeas per montes conducendo”.
Costo 15mila ducati.
Ritorniamo all’inizio. Dieci dicembre del 1438.
Il rumore sordo tra i boschi del Trentino.
I taglialegna che avanzano, senza conoscere ostacoli. Gli alberi che cadono uno dietro l'altro a indicare una via. Cosa sta accadendo?
Esattamente quello previsto dal progetto.
Venezia ha assoldato migliaia di falegnami, sterratori e carpentieri, intenzionata a costruire una strada tra i boschi composta da tronchi dislocati in orizzontale. Livellato strade e interrato ruscelli per farvi scorrere 6 galee (grandi e piccole), 2 fregate e 25
grosse barche.
Immaginate la grandezza di quell’impresa?
Caricate armi, vettovaglie e attrezzature la spedizione era partita da Venezia verso la foce dell’Adige per risalire il fiume. All’altezza di Verona avevano applicato dei galleggianti alle navi per diminuire la profondità del pescaggio.
E poi su fino a pochi km a sud di Rovereto, dove il fiume era stato abbandonato per proseguire via terra, Le galee poste sugli enormi tronchi e trainate da 20 paia dei 20mila buoi requisiti.
Foresta disboscata, spuntoni di roccia frantumati, avvallamenti colmati, case abbattute.
Poi il lago di Loppio fino all’ostacolo più grande, il Passo di San Giovanni, dislivello 274 metri.
Superato anche quello, alla flotta non rimase che scendere lungo il pendio fino a Torbole mentre i buoi trattenevano le navi, legate agli alberi per evitare lo scivolamento.
Il vento soffiava forte, in senso contrario.
Allora aprirono le vele facendo da freno per rallentare la discesa. Arrivando finalmente nel lago di Garda.
L’impresa, sotto l’alto comando del Gattamelata, è conclusa. La flotta al comando di Pietro Zeno è pronta a sfidare il nemico
Come andò a finire? Che l’impresa non servì a niente, perché i milanesi li stavano aspettando.
Senza l’effetto sorpresa la flotta veneziana venne sconfitta da quella milanese davanti a Maderno.
Due sole navi veneziane si salvarono.
Ma non finì lì.
L’anno seguente, grazie allo stesso percorso, arrivò una grande quantità di manodopera e materiale per costruire altre navi.
Nel 1440, al comando del capitano Stefano Contarini, la flotta veneziana sconfisse quella milanese a Ponale, prendendo il controllo del lago di Garda.
Dell’impresa “Galeas per montes” si ricordò Maometto II nel 1453 durante l’assedio di Costantinopoli.
La città era invalicabile, difesa a nord dal Corno d’Oro dove i bizantini avevano steso un’enorme catena di ferro per impedire l’ingresso delle navi nemiche.
Maometto II aggirò l’ostacolo costruendo una strada alle spalle di Pera.
Su quella strada vennero trainate su grandi rulli di legno ottanta fuste, galee più leggere, turche.
“Navigando come sulle onde per la valle, andavano per terra fino a quando non giunsero al mare”.
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Lo sapevo che prima o poi sarebbe toccato a me, uno dei matematici più celebri al mondo. Non solo. Filosofo, fisico, astronomo e inventore.
Ti ringrazio Johannes per avermi interpellato.
Da dove vuoi cominciare? Dall’inizio?
Sono nato nel 287 a.C. nella città di Siracusa.
«Lo so dove sei nato Archimede.
E so anche che durante la tua vita ti sei occupato di matematica, geometria, piana e solida.
E poi di astronomia, di ottica, di meccanica, d’idrostatica.
Ma ti ho interpellato per un’altra cosa.
Vorrei parlare con te di…»
Lo so. Lo so. Vuoi che ti racconti la mia infanzia ad Alessandria, capitale culturale del mondo ellenistico. Andai lì per i miei studi di matematica, ma i miei interessi spaziavano dalla musica alla politica, dalla poesia all’astronomia, e poi l’arte e le tattiche militari.
Odio essere chiamato Caligola.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Te lo ripeto Johannes, dato che alla tua veneranda età stai perdendo colpi.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Gaio Cesare una volta diventato Imperatore.
O anche solo Gaio. Chiaro?
«Scusa Cal…ops Gaio. Datti una calmata, perché ti alteri? D’altronde le fonti storiografiche sono scarse. Una delle poche cose certe è il perché ti chiamavano Cal…quella roba lì, insomma. Eri piccolo e giravi nell’accampamento di tuo padre indossando quelle calzature».
Ricordo. I soldati di mio padre indossavano le caligae. Essendo le mie molto piccole le chiamavano col diminutivo di caligulae.
Sono cresciuto tra i soldati che scherzando mi chiamavano in quel modo.
Però odiavo quel soprannome.
E lo odio tutt’oggi. Quindi regolati.
Perché tutti conoscono Leonida mentre nessuno conosce il sottoscritto?
Perché tutti conoscono le sue gesta e nessuno le mie? Lo chiedi a me? Non so Johannes, me lo devi dire tu.
Tra l’altro, come hai raccontato, fu vera gloria quella del re spartano? O un sacrificio inutile?
«Sinceramente non lo so. Comunque conosciamo poco di te prima di quelle imprese.
Quel poco che sappiamo lo dobbiamo agli storici Diodoro e Plutarco. Provenivi da una nobile famiglia corinzia. Quindi un’infanzia agiata e tranquilla.
E poi la carriera militare».
Sì, nel 366 a.C. ero il secondo in comando di un esercito di 3.000 uomini. Avevo il compito di difendere l'istmo di Corinto.
C’era l’eventualità di un tentativo d'invadere il Peloponneso.
Poi lui decise di occupare l'Acrocorinto, l’acropoli di Corinto. Per diventarne il tiranno
Sinceramente non capisco perché vuoi scambiare quattro chiacchiere con me, Johannes.
Su Wikipedia ci sono poche righe sulla mia vita
e nessun ritratto o scultura che mi rappresenti.
A chi può interessare quello che ho fatto, come ho vissuto e come sono morto?
«Per me non esistono piccole storie.
Chuck Palahniuk ha scritto: “Scommetto che se tu dipingessi quello che hai nel cuore, finirebbe appeso in un museo”. Io ti dirò di più.
Se ognuno di noi potesse dipingere la propria vita, tutti i quadri finirebbero in un museo».
Prendo atto. Da dove cominciamo?
So che tempo fa hai parlato con mio padre, Pericle.
Per tre sere consecutive.
Certo, lui ha avuto una vita intensa, un grandissimo. Aveva certo molte cose da raccontarti.
Sì. Johannes, la frase «un’altra vittoria così sui Romani e sarò perduto» è mia.
Per vincere l’avevo vinta quella battaglia, ma quale prezzo. Una vittoria inutile.
Ero convinto che i Sanniti si sarebbero ribellati ai Romani.
O gli Etruschi, o i Latini almeno. Invece.
«Già. Credo tu stia parlando della battaglia del 279 a.C., quella di Ascoli Satriano nell’attuale provincia di Foggia. In realtà le tue perdite, 3.500, furono inferiori rispetto ai Romani dei consoli Publio Decio Mure e Publio Sulpicio Saverrione, che persero circa 6.000 uomini»
E’ vero, i loro caduti venivano però rimpiazzati alla svelta. Per me era più complicato farli arrivare dall’Epiro.
Per quello contavo sulla ribellione di quei popoli.
Da alleati le cose sarebbero andate diversamente.
La battaglia di Malevento avrebbe avuto ben altro esito.
Ho letto i giornali.
Il 18 febbraio 2021 alle 20:55 UTC, il Rover Perseverance, soprannominato Percy, è atterrato su Marte.
Non ho detto “ammartato” altrimenti li sentivi quelli della brigata dei Crusconi.
Come chi sono? L’Accademia della Crusca, perdinci.
Tutti a parlare e scrivere di Perseverance.
Eppure su Marte non ci sarebbe mai arrivato senza il suo contributo. Quello del razzo Atlas V, intendo.
E quindi senza il mio contributo.
Mio e di lei, soprattutto.
Senza di noi, niente Marte.
Non sono stato il primo, e nemmeno il più importante, ma nella conquista dello spazio mediante razzi propulsori un pochino di merito è anche mio. Chi ha iniziato?
Bisogna andare indietro nel tempo, quando la conquista si fermava all’aria. Alle rondini volanti dei bambini di Rodi