Che ci faccio in questo luogo di dolore?
La logica conclusione, caro Johannes, dopo una vita passata a lottare contro i mulini a vento. Perché nessuno mi vuole dare retta? So di aver ragione, ne sono certo. Sto impazzendo per questa cosa.
Perché mi hanno rinchiuso in manicomio?
«Converrai che la situazione ormai era critica.
I tuoi familiari non avevano scelta.
Ti sei messo a distribuire volantini con accuse ai tuoi colleghi un tantinello eccessivi, non credi?
Li hai definiti assassini.
Un modo strano per farti ascoltare».
Sono assassini.
Scrivi. Oggi, 13 agosto 1865, nel letto di un manicomio, Ignác Fülöp Semmelweis dichiara che quei medici sono assassini.
Senti Johannes.
Ci siamo presentati con una stretta di mano.
Hai lavato le mani prima, vero?
«Sì, cioè non proprio prima. Prima prima. Col sapone, come fanno tutti. Tu non lo sai, ma nel 2021 abbiamo ben chiaro il concetto di infezione. Non avendo a disposizione un gel disinfettante mi sono arrangiato col classico lavaggio delle mani col sapone. Perché ti stai agitando?»
Col sapone? Hai lavato le mani solo col sapone? E che fanno dopo tutti gli "animaluncoli", come li definiva Antoni van Leeuwenhoek nel 1684, presenti sulle mani?
Festeggiano ballando? Ma che hai nella testa. Minimo le devi lavare con una soluzione di cloruro di calce.
Assassino
«Scusa, ma darmi dell’assassino mi sembra esagerato. Comunque non voglio litigare. Voglio sapere un po’ della tua vita. So che sei nato in Ungheria, a Buda, nel 1818. Tuo padre voleva diventassi giudice militare. Da qui l’iscrizione alla facoltà di legge all'Università di Vienna»
Che lasciai per iscrivermi a medicina. Grazie a un carissimo amico.
Fu lui a invitarmi a una lezione di anatomia. In ospedale eseguivano l’autopsia di una giovane donna morta a causa di quella maledetta febbre. La curiosità ebbe il sopravvento. Da dove proveniva quella febbre?
«Ho preso appunti.
Ti sei laureato nel 1844 con una tesi in ambito naturalistico dal titolo “Tractatus de vita plantarum”. Cosa ti affascinò dell’anatomia patologica?
Forse l’incontro con tre grandissimi medici?
O che altro?»
Già. Karl von Rokistansky uno dei fondatori dell’anatomia patologica e Ferdinand Hebra il padre della dermatologia.
Ma fu un’autopsia del grande Josef Skoda su una giovane mamma a cambiare la mia vita. Chiamò quella febbre col suo nome. “Febbre puerperale”, disse.
«Di quella febbre la causa era sconosciuta, ma si sapeva esattamente il meccanismo.
Due o tre giorni dopo le partorienti iniziavano ad avere febbre alta e violenti dolori addominali.
Seguivano nausea, vomito e mal di testa.
Fino alla morte di quelle povere donne».
Esattamente.
Lavoravo all’Allgemeines Krankenhaus di Vienna, l’ospedale più famoso del mondo, dove c’erano studenti di medicina e ostetriche.
Nel 1846 fui nominato aiutante nella clinica di ostetricia diretta dal professor Johann Klein.
Un raccomandato.
«Già, nominato per conoscenze politiche. Il suo reparto, dove operavano gli studenti, aveva un tasso di mortalità nettamente superiore al reparto affidato alle sole ostetriche.
Non si chiedeva neppure il perché. Continuando a usare tecniche praticate duemila anni prima».
La febbre puerperale è una vera piaga.
Le donne sono terrorizzate all’idea di partorire in un ospedale.
Diventò per me un’ossessione. Cominciai con l’analizzare dati. E scoprii qualcosa di veramente strano. La diversa percentuale di morti rispetto al luogo dove partorivano.
«È vero. Se partorivano in casa o nella clinica gestita dalle ostetriche la percentuale di donne colpite dalla febbre puerperale era all’incirca del 2%.
Quella della clinica di Klein, dove gli studenti passavano dalle autopsie al reparto maternità, era superiore al 18%».
Perché? Cominciai a valutare alcune teorie.
La differenza poteva essere causata dai miasmi? Dal cibo? Dalla povertà? Dalla rivoluzione industriale?
O dalla campanella del prete per l’estrema unzione suonata prima di ogni parto?
Vietai la campanella, ma le morti non diminuirono
«Poi all’improvviso accadde qualcosa che ti fece aprire gli occhi.
La morte dell’amico medico Jakob Kolletschka. Quarantatré anni e una febbre inspiegabile.
Morto dopo aver effettuato un’autopsia, in cui si era tagliato, a una delle donne morte di febbre puerperale».
Una morte con le stesse lesioni delle donne colpite da quella maledetta febbre. Erano quindi gli studenti, costretti a fare autopsie prima di visitare le partorienti, a trasmettere le fatali particelle negli organi genitali delle donne.
Lavarsi le mani col sapone non bastava.
«Così obbligasti gli studenti a lavarsi le mani con cloruro di calce prima di toccare le donne.
A malincuore il dottor Klein accettò e in poco tempo la percentuale di morte scese dal 18% all’1,2%.
Avevi vinto. La tua ossessione avrebbe trovato riposo. Almeno così credevi».
Il professor Kleyn e gli altri rifiutarono di accettare di essere loro la causa. Di essere loro a portare quegli “animaluncoli” nelle sale parto.
Dicevano che nemmeno si vedevano.
Vietarono così l’uso del cloruro di calce per i lavaggi delle mani. E le morti ricominciarono.
«Lo so, ma se posso dire la mia non tutti erano contrari e tu maldestro lo eri, ammettilo.
Eri ossessionato a tal punto da pensare che ce l’avevano con te perché parlavi un ungherese stentato. Volevi l’approvazione del mondo, eppure non pubblicasti niente sulla tua scoperta».
La depressione mi stava consumando.
Parlai a qualche conferenza, ma la reazione era sempre troppo tiepida. Perché non ammettere che ero il “salvatore delle madri”. La più grande scoperta del secolo e loro si preoccupavano di non essere definiti “untori”. Ma lo erano, accidenti.
«Depressione, ossessione, paranoia.
Nessuno ti prendeva sul serio. Eppure sarebbe bastato lavarsi bene le mani e cambiare spesso le lenzuola per evitare tutte quelle morti.
Decidesti di tornare in Ungheria, a Pest, nell’Ospedale San Rocco, dove applicasti il tuo metodo».
Quando Kleyn morì, ero convinto che sarei stato scelto per sostituirlo. Quando misero il mio più acerrimo nemico capii che era stato tutto inutile.
Nel 1861 decisi di mettere tutto nero su bianco.
Scrissi "L’eziologia, il concetto e la profilassi della febbre puerperale".
"Quando rivedo il passato, posso solo dissipare la tristezza che mi invade immaginando quel futuro felice in cui l’infezione sarà bandita… La convinzione che quel momento debba arrivare inevitabilmente prima o poi mi rallegrerà al momento di morire".
(Ignác Semmelweis)
«Semmelweis è morto di setticemia in manicomio nel 1865. Nello stesso anno l’Ospedale della Maternité veniva chiuso dopo 310 morti su 1.530 parti.
Nessuno gli aveva dato ascolto.
Quattordici anni dopo Louis Pasteur dimostrerà che Ignác Semmelweis aveva ragione.
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Scusa Johannes. Hai parlato con Nerone prima e con Caligola poi. E io chi sono? Sono forse un Imperatore minore rispetto agli altri?
Faccio parte anch’io della dinastia giulio-claudia e quindi non capisco perché non hai ancora raccontato la mia storia.
«Niente di personale Claudio.
Ti volevo lasciare per ultimo perché sei la dimostrazione che dare giudizi su una persona senza conoscerla a volte è sbagliato.
Che non si giudica qualcuno solo dal curriculum o dal titolo di studio.
E nemmeno dal numero di follower».
Questo è vero. Nessuno mi considerava.
Essere insignificante, balbuziente e claudicante, anche se unico maschio adulto della dinastia giulio-claudia, ero stato messo in disparte.
Deriso e sbeffeggiato da mio nipote Caligola.
A proposito. Cosa diavolo sono i follower?
In questi giorni avrei dovuto festeggiare il mio trentesimo compleanno. Peccato.
Oggi, 2 aprile, è comunque una data importante.
Certo, non come un compleanno, sapete, quella cosa con torta e candeline.
Oggi, 2 aprile, sono nove anni esatti che sono morta.
Niente torta di compleanno e niente fiori al mio funerale. Non doveva andare così, non è giusto.
Come non è giusto essere costretti a lasciare la propria terra alla ricerca di un sogno.
Il mio? Una lunga storia. Iniziata con uno sparo in un giorno d’agosto del 2008.
Uno sparo. E poi avevo sentito solo l’urlo della folla.
Non avevo nemmeno lasciato i blocchi che le altre erano già lontane.
Ed ero ancora in curva quando loro già riposavano dopo il traguardo.
Io ultima, anzi, ultimissima.
Eppure negli ultimi 50 metri era accaduto qualcosa.
Il 25 marzo scorso Venezia ha compiuto 1600 anni.
La sua nascita viene raccontata in “Chronaca Altinate”, anche se la data non è storicamente provata.
Ma non è importante per l’impresa che sto per raccontarvi.
Una delle più grandi di Venezia, forse la meno conosciuta.
Era il dieci dicembre del 1438.
Un rumore sordo tra i boschi del Trentino con i taglialegna che stanno avanzando, senza conoscere ostacoli. Gli alberi che cadono uno dietro l'altro.
Cosa sta accadendo? Di cosa stiamo parlando?
Per comprenderlo, dobbiamo fare un passo indietro.
Al 1410, quando la Repubblica di Venezia sa di essere una potenza nel mare (Stato da Mar), ma comprende anche che l’impero bizantino prima o poi cadrà sotto le lame degli Ottomani.
Ha un sacco di interessi commerciali e monetari in Oriente e appoggia la resistenza bizantina.
Lo sapevo che prima o poi sarebbe toccato a me, uno dei matematici più celebri al mondo. Non solo. Filosofo, fisico, astronomo e inventore.
Ti ringrazio Johannes per avermi interpellato.
Da dove vuoi cominciare? Dall’inizio?
Sono nato nel 287 a.C. nella città di Siracusa.
«Lo so dove sei nato Archimede.
E so anche che durante la tua vita ti sei occupato di matematica, geometria, piana e solida.
E poi di astronomia, di ottica, di meccanica, d’idrostatica.
Ma ti ho interpellato per un’altra cosa.
Vorrei parlare con te di…»
Lo so. Lo so. Vuoi che ti racconti la mia infanzia ad Alessandria, capitale culturale del mondo ellenistico. Andai lì per i miei studi di matematica, ma i miei interessi spaziavano dalla musica alla politica, dalla poesia all’astronomia, e poi l’arte e le tattiche militari.
Odio essere chiamato Caligola.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Te lo ripeto Johannes, dato che alla tua veneranda età stai perdendo colpi.
Mi chiamo Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico.
Gaio Cesare una volta diventato Imperatore.
O anche solo Gaio. Chiaro?
«Scusa Cal…ops Gaio. Datti una calmata, perché ti alteri? D’altronde le fonti storiografiche sono scarse. Una delle poche cose certe è il perché ti chiamavano Cal…quella roba lì, insomma. Eri piccolo e giravi nell’accampamento di tuo padre indossando quelle calzature».
Ricordo. I soldati di mio padre indossavano le caligae. Essendo le mie molto piccole le chiamavano col diminutivo di caligulae.
Sono cresciuto tra i soldati che scherzando mi chiamavano in quel modo.
Però odiavo quel soprannome.
E lo odio tutt’oggi. Quindi regolati.
Perché tutti conoscono Leonida mentre nessuno conosce il sottoscritto?
Perché tutti conoscono le sue gesta e nessuno le mie? Lo chiedi a me? Non so Johannes, me lo devi dire tu.
Tra l’altro, come hai raccontato, fu vera gloria quella del re spartano? O un sacrificio inutile?
«Sinceramente non lo so. Comunque conosciamo poco di te prima di quelle imprese.
Quel poco che sappiamo lo dobbiamo agli storici Diodoro e Plutarco. Provenivi da una nobile famiglia corinzia. Quindi un’infanzia agiata e tranquilla.
E poi la carriera militare».
Sì, nel 366 a.C. ero il secondo in comando di un esercito di 3.000 uomini. Avevo il compito di difendere l'istmo di Corinto.
C’era l’eventualità di un tentativo d'invadere il Peloponneso.
Poi lui decise di occupare l'Acrocorinto, l’acropoli di Corinto. Per diventarne il tiranno