Zitto Johannes. Con me non funziona il botta e risposta che fai di solito con gli altri. Raccontando di Claudio, mio marito, hai riportato la frase del tribuno mentre mi uccideva. “Se la tua morte sarà pianta da tutti i tuoi amanti, allora piangerà mezza Roma!". È ora di finirla.
Vuoi sapere qualcosa di me? Siediti e ascolta.
Ne ho le scatole piene di gente che parla male della sottoscritta.
I vostri storici moderni hanno riabilitato tutti.
Da quel pusillanime di mio marito Claudio, a Nerone e persino Caligola.
Perché non hanno riabilitato anche me?
Su Wikipedia c’è scritto: “Valeria Messalina imperatrice, consorte dell'imperatore Claudio”.
Perché alla voce Claudio imperatore non c’è scritto “consorte dell’imperatrice Messalina l’Augusta?”.
Ho un vago sospetto.
Tra l’altro il titolo di Augusta mi spettava.
Invece mio marito Claudio me lo rifiutò.
Lui, che amava i suoi libri più di sua moglie.
Seneca lo ha descritto bene.
Una zucca vuota da vivo, rimasta una zucca vuota da morto.
Invece l’unica cosa che sapete ripetere è che io, Messalina, sono stata una donna di facili costumi.
Giovenale. Buono quello. Ha scritto che quando Claudio dormiva io sgusciavo fuori dal letto e indossando una parrucca bionda m’infilavo in un putrido lupanare (bordello) utilizzando il falso nome di Licisca (lupetta).
Per poi uscirne stravolta, “lassata viris sed non satiata”.
Ho imparato a memoria la sua satira VI, quella contro le donne.
A Roma il matrimonio era in crisi? Colpa delle donne. Un consiglio all’amico che voleva sposarsi? Suicidarsi.
E voi vi siete bevuti tutte le menzogne di questo misogino? Non solo. Come poteva sapere della mia vita?
Augusta meretrix ovvero "prostituta imperiale" mi ha definita.
Eppure quando sono morta, nel 48 d.C., Giovenale, che incolpava della decadenza di Roma le donne, gli omosessuali e gli immigrati, non era nemmeno nato. Ha scritto tutte quelle cose su di me per sentito dire? Bravo.
E che dire di Tacito.
Per carità, niente da dire su uno storico che merita rispetto, ma anche lui ha cominciato a scrivere di me almeno cinquant’anni dopo la mia morte.
Bontà sua omettere i dettagli sessuali.
Parla di me negli Annales.
Sempre per sentito dire, naturalmente.
Eppure avrebbero potuto concedermi qualche attenuante.
Per esempio essere stata costretta da mio cugino, l’Imperatore Caligola, a sposare Claudio.
Avevo solo quattordici anni, accidenti.
Lui aveva trent'anni più di me, claudicante, balbuziente e al terzo matrimonio.
Sposata per ragioni politiche. Perché gli uomini hanno sempre un motivo valido. E un occhio di riguardo quando giudicano altri uomini. Il mio prozio Augusto non era crudele, solo un pochino severo. Uccideva come non ci fosse un domani? Sicuramente in ossequio alla ragion di Stato
Smettila Johannes di alzare il dito, stasera non ti faccio parlare.
Alla morte di Caligola mio marito Claudio diventò Imperatore. Io Messalina Imperatrice, esponente della prestigiosa “Gens Iulia”. Un pizzico di invidia nei miei confronti qualcuno cominciò ad averla, non credi?
Perché giudicarmi in quel modo quando nella Roma Imperiale le infedeltà coniugali erano all’ordine del giorno?
Ero Valeria Messalina, figlia di Domizia Lepida la Giovane e di Messalla Barbato, pronipote di Augusto.
Giovane e bella. Perché spalare fango solo sulla mia persona?
Per tutti non ero solo una donnaccia. Pure crudele.
Il nobile Valerio Asiatico, coinvolto nell’uccisione di Caligola?
Condannato a uccidersi da mio marito, ma sicuramente c'era dietro quella vipera di Messalina che voleva impadronirsi delle sue residenze.
Il liberto Polibio? Era tra i miei favoriti, ma lo feci uccidere lo stesso.
Giulia di Germanico e Giulia figlia di Druso?
Troppo belle. Sono stata sempre io a mandarle in esilio per poi ucciderle.
Appio Silano? Si era rifiutato di diventare il mio amante. Ucciso anche lui.
Sempre colpa mia. Prove? Nessuna. Però sempre io quella cattiva. E donna immorale. Come si chiama quello, quel Vecchio, Plinio credo. Secondo lui ho persino sfidato una prostituta. Una gara vinta, riuscendo ad avere 25 "concubitus" (rapporti) in 24 ore. Per sentito dire. Patetico
Sul mio ruolo di madre niente.
Eppure ho avuto due figli, Claudia Ottavia e Cesare, “detto il Britannico”.
Guardate la statua dell’immagine sotto.
Mi raffigura con in braccio Britannico.
Vi sembra la rappresentazione di una donnaccia?
E basta con quel dito alzato, Johannes. Parlo solo io.
Ho avuto tanti uomini, non posso negarlo.
Tutti uccisi da mio marito.
Se sono mai stata innamorata? Certo.
Lui si chiamava Gaio Silvio.
Accadde tutto quando Claudio si trasferì a Ostia per leggere in pace i suoi libri
Approfittando della sua assenza sposai Gaio Silvio con tanto di cerimonia e invitati. Niente di ufficiale, ma quando Claudio lo venne a sapere andò su tutte le furie. Tacito racconta che lo feci perché ero una donna dissoluta. Il matrimonio una dissolutezza? Io lo amavo veramente
Quando Claudio tornò a Roma volle che io mi discolpassi. Pena la morte.
Ma ero troppo bella e persino il liberto Narciso si oppose. Roma fece terra bruciata intorno a me.
Prima mi osannavano, ora nessuno mi salutava.
Dal giardino di Lucullo al Palazzo camminavo da sola.
Invisibile. Ignorata.
Io, che prima venivo invocata come Augusta.
Claudio non fece ammazzare solo il mio amore Gaio Silvio, ma anche Vezzio Valente, Sulpicio Rufo, Saufeio Trogo, Pompeo Urbico e il povero Mnestere, che mai si era avvicinato al mio letto.
Di ammazzare personalmente la madre dei suoi due figli non ebbe neppure il coraggio.
Pensai di uccidermi dopo aver saputo della morte di Gaio. Ma avevo solo 23 anni. Non ho avuto il coraggio. Fu un tribuno a farlo.
Mentre Claudio mangiava tranquillamente.
Sposata a quattordici anni e uccisa a soli ventitré. Chissà che vita lussuriosa che ho fatto.
Che volevi fare stasera Johannes? Giudicarmi? Preferisco quello che hanno scritto Giovenale, Svetonio e Tacito al tuo giudizio.
Che tra l’altro scrivono meglio di te.
Se alzi un’altra volta il dito Johannes, giuro che vengo lì e ti spezzo le braccine. Chiaro?
Duemila anni a denigrarmi. Certo che sono arrabbiata, ma non cerco clemenza. Erano tempi infami.
Mai pensato che tutte quelle dicerie su di me fossero solo calunnie al potere Imperiale?
Puoi anche non credermi, ma sono convinta che la mia non sia stata una condotta così scandalosa visti i tempi. Cosa non mi va giù?
Molte cose sono andate perdute di quel periodo. Perché le dicerie sul mio conto resistono da duemila anni? Non sarebbe il caso di darci un taglio?
Ancora quel dito alzato Johannes.
Ti ho detto che stasera non ti faccio parlare.
Come? Volevi solo andare in bagno?
E perché non l’hai detto subito.
Dici che ci hai provato?
Stai a vedere che anche stavolta è colpa mia.
Vai…vai.
Che pazienza...
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Non è giusto Johannes. Non è giusto.
Non eri tu che usavi la Macchina del Tempo?
Magari la possiamo utilizzare per rivedere quello che è veramente successo.
Mi ci vorrebbe proprio qualcosa del genere.
Tornare a quel momento. A quell’ingiustizia.
«Non ho capito Diodoro.
Vorresti rivedere cosa accadde esattamente in quel frangente?
Quello che alla fine causò la tua morte?
E una volta appurato?
Niente e nessuno può cambiare un risultato.
Alla fine le proteste sono praticamente inutili».
Le proteste saranno pure inutili, ma quel Summa Rudis era un corn….bip.
Inutile Johannes che metti il bip.
Il Summa Rudis era un ex gladiatore che una volta andato in pensione iniziava a fare l’arbitro nei combattimenti.
Un arbitro Johannes.
Quindi posso dire corn…bip.
«Salve Gaio.
Ieri sera (bit.ly/3y8BXUY) abbiamo raccontato che una volta approvata la tua legge, che concedeva ai plebei le terre dei Galli, accadde qualcosa di grave.
Si avverò una delle sventure profetizzate dal Senato. Le tribù galliche si rivoltarono contro Roma».
E il Senato diede la colpa a me. Assurdo.
Delle loro profezie fregava niente.
Come ti ho detto ai loro dei non credevo, figuriamoci alle profezie dei loro aruspici.
Sai, quei sacerdoti che prevedevano il futuro osservando le viscere degli animali sacrificati.
Stupidaggini.
«Stupidaggini, certo. Ma avevano previsto la ribellione dei Celti, o Galli come li chiamavate. Fu gioco facile scatenare il popolo contro di te.
La cosa era seria. Nella capitale Mediolanum erano confluiti migliaia di Celti. Partiti alla volta di Roma avevano assediato Rimini».
Sono sorpreso Johannes. Non capisco perché vuoi parlare con me. Sui libri di storia solo un accenno sul mio conto, solo per dire che sono stato sconfitto da Annibale nella battaglia del lago Trasimeno.
Solo quello. E niente più.
Hai letto cosa dicono di me gli storici?
«Sì. Ho letto Polibio e Livio.
Hanno usato parole sprezzanti nei tuoi confronti. Hanno scritto che hai sottovalutato il genio militare di Annibale.
Una domanda.
Molti altri generali sono stati sconfitti da Annibale, perché Polibio e Livio hanno disprezzato solo te?»
Hai ragione Johannes. Non hanno scritto le stesse parole sdegnose su Publio Cornelio Scipione, sconfitto e ferito nella battaglia del Ticino.
Neppure su Tiberio Sempronio Longo, sconfitto da Annibale nella battaglia della Trebbia.
Per non parlare dei generali sconfitti a Canne.
Scusa Johannes. Hai parlato con Nerone prima e con Caligola poi. E io chi sono? Sono forse un Imperatore minore rispetto agli altri?
Faccio parte anch’io della dinastia giulio-claudia e quindi non capisco perché non hai ancora raccontato la mia storia.
«Niente di personale Claudio.
Ti volevo lasciare per ultimo perché sei la dimostrazione che dare giudizi su una persona senza conoscerla a volte è sbagliato.
Che non si giudica qualcuno solo dal curriculum o dal titolo di studio.
E nemmeno dal numero di follower».
Questo è vero. Nessuno mi considerava.
Essere insignificante, balbuziente e claudicante, anche se unico maschio adulto della dinastia giulio-claudia, ero stato messo in disparte.
Deriso e sbeffeggiato da mio nipote Caligola.
A proposito. Cosa diavolo sono i follower?
Che ci faccio in questo luogo di dolore?
La logica conclusione, caro Johannes, dopo una vita passata a lottare contro i mulini a vento. Perché nessuno mi vuole dare retta? So di aver ragione, ne sono certo. Sto impazzendo per questa cosa.
Perché mi hanno rinchiuso in manicomio?
«Converrai che la situazione ormai era critica.
I tuoi familiari non avevano scelta.
Ti sei messo a distribuire volantini con accuse ai tuoi colleghi un tantinello eccessivi, non credi?
Li hai definiti assassini.
Un modo strano per farti ascoltare».
Sono assassini.
Scrivi. Oggi, 13 agosto 1865, nel letto di un manicomio, Ignác Fülöp Semmelweis dichiara che quei medici sono assassini.
Senti Johannes.
Ci siamo presentati con una stretta di mano.
Hai lavato le mani prima, vero?
In questi giorni avrei dovuto festeggiare il mio trentesimo compleanno. Peccato.
Oggi, 2 aprile, è comunque una data importante.
Certo, non come un compleanno, sapete, quella cosa con torta e candeline.
Oggi, 2 aprile, sono nove anni esatti che sono morta.
Niente torta di compleanno e niente fiori al mio funerale. Non doveva andare così, non è giusto.
Come non è giusto essere costretti a lasciare la propria terra alla ricerca di un sogno.
Il mio? Una lunga storia. Iniziata con uno sparo in un giorno d’agosto del 2008.
Uno sparo. E poi avevo sentito solo l’urlo della folla.
Non avevo nemmeno lasciato i blocchi che le altre erano già lontane.
Ed ero ancora in curva quando loro già riposavano dopo il traguardo.
Io ultima, anzi, ultimissima.
Eppure negli ultimi 50 metri era accaduto qualcosa.