Thread by @MariuzzoAndrea

Spesso si parla di un problema italiano di "analfabetismo scientifico". La questione così mi è sempre sembrata posta in modo inappropriato, e ultimamente sono convinto che l'errore possa anche essere pericoloso
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Prima di tutto, dire che in Italia non si conoscono abbastanza la scienza e il suo metodo d'indagine dà per sottinteso che invece si studiano "troppo" bene le discipline umanistiche, togliendo tempo alle "cose importanti"

Anche se non si arriva ai livelli dei giovani dottorandi che sperano di farsi notare da Boldrin o da uno dei suoi sodali berciando di abolizione del liceo classico, un orientamento del genere è sbagliato, prima che offensivo

Intanto, mi pare chiaro che in Italia è difficile sottovalutare ulteriormente la formazione umanistica sul piano professionale (e anche recentemente le reazioni di alcune bestie ai discorso delle/i normslist* di un mesetto fa lo hanno dimostrato)

Quando un* dottore/ssa di ricerca in fisica si vedrà rovinata la carriera perché gli hanno preferito qualcun* che la sera legge Omero in edizione ionica ne riparliamo

Peraltro, tutta questa preparazione storica e letteraria in giro dove la vedete? A me sembra che rispetto alle conoscenze scientifiche ci sia più presunzione di poterne parlare, proprio perché si pensa che le scuole abbiano attrezzato a farlo, che capacità

Per un economista che ritiene pacifico dover sapere perché esiste la gravità, ce ne sono 10 che vedono un segno del provincialismo italiano nel fatto che il presidente di Econojia di Roma nel 1953 non pubblicava sulla American Economic Review

Di quelli che pensano che il fascismo fosse "collettivista" neanche parlo, perché lì non di tratta di analfabetismo storico, ma di scarsa comprensione del significato delle parole

Ma poi i dati che abbiamo a disposizione sulle abilità di base comparabili a livello internazionale, soprattutto quelli OCSE, mettono in guardia sulla possibilità di sbagliare bersaglio, cosa che cone noto è peggio che mancarlo

L'istruzione secondaria italiana infatti sembra essere istituzionalmente adeguata a trasmettere strumenti analitici di base in linea con quelli degli altro paesi sviluppati (che poi non ci riesca allo stesso modo ovunque è un altro, importante, capitolo)

Quello che emerge è piuttosto la fragilità di queste acquisizioni. Ad avere problemi in massa in Italia non sono studenti di neo diplomati, ma 40-50-60enni che man mano non si dimenticano solo le nozioni, ma anche i metodi di ragionamento

Allora forse il problema non è che si insegna troppo poco o male un ambito della cultura (e, quindi, troppo e troppo bene un altro?), ma piuttosto che non si è ancora superata la barriera tra istruzione e lavoro

Nella società contemporanea non di possono considerare due elementi caratterizzanti di due età della vita separate in modo stagno, e una formazione professionale per forza di cose sempre più varia e complessa deve anche considerare essenziale la formazione culturale continua

È anche per questo che una cultura del lavoro che considerare le occupazioni tra loto intercambiabili, come quella espressa ogni volta che si parla di rdc, non è solo inefficiente nel breve e medio periodo

È soprattutto indegna di un paese civile e dell'attenzione che esso deve dedicare al consolidamento della preparazione culturale della sua cittadinanza in tutte le età

*studenti o

*preside di Economia