Vuoi parlare un’altra volta con me, Johannes?
Non è che nei thread precedenti mi hai trattato bene.
Tra tutte le mie conquiste hai voluto raccontare l’unico mio errore, l’assedio in Alessandria.
E poi hai parlato pure di Cleopatra.
Ricorda che io sono Gaio Giulio Cesare.
«Gaio il praenomem, Giulio la gente di appartenenza, nel tuo caso la gens Giulia, Cesarem il cognomen, dalla famiglia.
Volevo parlare con te della tua morte.
Lo so, “tra tutte le conquiste …”, l’hai già detto.
Ma vedi. Penso che vada raccontata.
Erano senatori Gaio».
E mi hanno pugnalato ventitré volte quei vigliacchi. Senatori, persone rispettabili, che nascondevano un pugnale sotto la toga, per uccidere uno del loro rango.
Chi è che si sta avvicinando?
Johannes, io quello non lo voglio vedere dopo quello che mi ha fatto.
«Scusa Cesare, ma io avevo invitato Lucio Giunio Bruto, fondatore della Repubblica romana, te lo giuro. Per parlare dei suoi figli e della cacciata dei Tarquini. Non capisco perché si è presentato Marco Giunio Bruto. Deve esserci stato un errore nella convocazione. Che facciamo?»
Che facciamo, che facciamo. Ormai è qui.
E se devo dire la verità sono secoli che ho voglia di dirgliene quattro a quello sciagurato.
Fallo sedere in un angolo e che ascolti in silenzio.
Se apre bocca giuro che non rispondo di me.
Dunque, dove eravamo rimasti?
«Siamo partiti dalla fine. La tua. Con 23 colpi di pugnale.
Voglio darti la possibilità di raccontare la tua versione. Plutarco, ma anche l’Alfieri, il Foscolo, il Leopardi, per non parlare dei rivoluzionari francesi, hanno avuto una grande ammirazione nei confronti di Bruto.»
Bruto, che cavolo sorridi?
Vero Johannes, ma hai dimenticato di dire che Dante invece ha posto Bruto e quell’altro verme di nome Cassio nella Giudecca, dove sono puniti i traditori dei benefattori. Dilaniati dai denti di Lucifero.
Sorridi meno ora, vero?
«Questo è vero. Andiamo avanti.
Credo sia giusto raccontare chi era
veramente Bruto.
Quali sono stati i tuoi rapporti con lui?
Perché alla fine ha deciso, con altri, di eliminarti?»
Cominciamo dalla prima domanda. Chi era Bruto.
Bruto era un vigliacco irresponsabile, figlio di …
Scusa Johannes, mi stavo facendo prendere la mano. Bruto era nato da una famiglia illustre.
Sua madre, Servilia, era sorella da parte di madre di Catone il minore.
Bellissima.
«Ho letto. Servilia era una donna affascinante, abile in politica. Plutarco scrive che era innamorata di te. Svetonio, invece, che eri tu quello follemente innamorato di lei.
Il vostro amore diventò di dominio pubblico quando nacque Bruto. Si diceva in giro che fosse tuo figlio»
Solo chiacchiere. E maldicenze. Servilia aveva solo un piano. Rinsaldare l’alleanza tra me e la sua casata. Contro Pompeo.
Quel tipo lì seduto è stato cresciuto nel culto della civiltà repubblicana come forma perfetta di stato per Roma.
L’unica secondo lui.
«Saranno state solo chiacchiere, ma regalasti a Servilia una perla del valore di sei milioni di sesterzi. Se pensiamo che una libbra d’oro, ai tuoi tempi, costava 3.000 sesterzi…
Per non parlare delle proprietà che aggiudicasti a lei, a basso prezzo, durante la guerra civile»
Va bene, le ho fatto alcuni regali.
Che arricchirono lei e di riflesso suo figlio Bruto, l’ingrato.
E’ inutile che fai quella faccia Bruto.
Eri ingrato, timido e pigro.
Comunque. Pompeo, per fermare la mia ascesa, convinse Bruto e Catone a schierarsi dalla sua parte.
«Malgrado Pompeo avesse ucciso il padre di Bruto, Marco Giunio Bruto il vecchio, durante la rivolta promossa da Marco Emilio Lepido nel 77 a.C.
Sia Catone che Bruto seguirono Pompeo a Farsalo. Dopo la sconfitta Catone si rifugiò in Africa, dove si uccise»
Invece quel figlio di… insomma, Bruto, fu il primo a scappare dal campo di battaglia per correre a chiedere il mio perdono.
Maledetto quel giorno quando gli concessi non solo il perdono, ma onori e potere politico.
E pure un comando provinciale e una pretura.
«Bruto dopo il suicidio di Catone si era però vergognato della sua slealtà.
Catone era un uomo che era morto restando fedele, a differenza sua, ai principi repubblicani.
Ma era l’invidia verso di te la sua ossessione.
Tu eri avido di gloria e di potere»
Sì Johannes, racconta anche la storiella che Bruto aveva a cuore le tradizioni e le istituzioni della Repubblica, mentre io invece ero il cattivo.
Che però, dopo il passaggio del Rubicone e la presa di Roma, seppe offrire cariche e onori a molti romani, ricordati.
«A dire la verità hai offerto cariche e onori solo a coloro che non avevano seguito Bruto e Catone. Tipo i mariti delle tre figlie di Servilia. Ti riconosco di essere stato un riformatore instancabile, ma i tuoi ti adulavano troppo.Ti riconoscevano poteri divini. Esageravano,dai»
I cittadini romani non potevano sopportarlo. Sulle statue del Bruto, fondatore della Repubblica, iniziarono ad apparire scritte come: “Bruto, dove sei?”.
Poi ci si mise pure Cassio.
Arrabbiato con me perché gli avevo fregato delle bestie feroci durante la guerra contro Pompeo.
«E iniziò la congiura. Cassio sondò alcuni senatori amici e insieme a Bruto organizzarono il modo, la data e il luogo. Ci volle un mese per predisporre il tutto.
Ma Bruto, troppo ansioso, si lasciò scappare quel suo segreto rivelando tutto alla moglie Porcia, figlia di Catone»
Lo so. Riportarono anche a me quelle strane voci.
Alle quali non diedi peso.
Ero un benefattore per tutte quelle persone.
Contavo sulla loro lealtà. Poi arrivò il giorno della convocazione del Senato.
A metà marzo, nel portico antistante il teatro costruito da Pompeo.
«Molte furono le occasioni che rischiarono di far fallire il loro piano.
Prima i sogni di Calpurnia Pisone, tua moglie, durante la notte. Il pinnacolo sul tetto distrutto dal vento.
Ma tu ai presagi credevi poco.
Ricordo che arrivò Decimo Bruto a dirti di sbrigarti»
Col senno di poi capisco solo ora tutte quelle attenzioni durante il cammino.
Il maestro di scuola Artemidoro mi diede un biglietto che misi in seno per leggerlo più tardi.
Ora so che c’era scritto tutto della congiura.
Pensavo invece che fosse la solita richiesta di favori.
«E arrivasti sul luogo. Fu Cimbro a strapparti la tunica. Il segnale. Fu Casca a darti la prima pugnalata. Emozionato, ti ferì alla gola. “Dannatissimo Casca, cosa fai?”.
Con i senatori paralizzati, gli altri congiurati si gettarono su di te.
E poi Bruto ti colpì all’inguine»
“Kai su, tékne” dissi in greco. Prima di accasciarmi. Era il 15 marzo del 44 a.C.
Ti garantisco Johannes che più che alle sorti della Repubblica pensarono, con la mia morte, di tutelare i loro interessi di casta. Solo quelli.
E’ inutile che scuoti la testa Bruto. Vengo lì?
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Finalmente tocca a me Johannes.
Sono rimasto seduto tranquillo lasciando che Giulio Cesare raccontasse la sua versione.
Che non sta in piedi.
Lui ha raccontato di essere stato tradito, pugnalato (in effetti questo è vero), pur essendo stato un benefattore nei nostri confronti.
«I lettori valuteranno.
Con Cesare non siamo riusciti, stante lo spazio, a rispondere alla domanda: “cosa hai ottenuto, tu Bruto e gli altri congiurati, con la sua morte?
Visti i risultati è stata del tutto inutile agli scopi che si prefiggeva.
Quindi politicamente sbagliata»
Perché sbagliata? Ma hai idea di cosa fosse diventato Giulio Cesare negli ultimi anni? Sempre più autoritario. Tra i sessanta senatori della congiura c’erano anche dei cesariani moderati contrari alla svolta autocratica di Cesare. Che mai avrebbe restaurato lo Stato repubblicano.
«No Cleopatra, Cesare non c’è. Abbiamo chiacchierato per un paio di thread e ho avuto come l’impressione che non volesse sentir parlare di te. Ha ripetuto “storia finita”, nulla più. Non ha risposto nemmeno alla domanda se fosse finito nella trappola di Alessandria per amore tuo»
Hai raccontato come ci siamo incontrati? Giulio Cesare era l’unica possibilità di riconquistare il trono e per sfuggire agli uomini di mio fratello un servitore mi portò nel palazzo nascosta in un sacco per tappeti.
Perché quella faccia Johannes? Hai scritto “dentro un tappeto?”
«Ho sbagliato, scusa.
Un’errata traduzione degli storici. Era un sacco per tappeti. Conquistare i favori di Cesare non ti fu difficile. Eri bellissima, colta, elegante e soprattutto seducente. E giovane. A Cesare, in su con gli anni, non parve vero di avere accanto una come te»
«Salve Gaio Giulio Cesare. Ieri abbiamo parlato dell’assedio di Alessandria.
Tu chiuso in trappola dall’esercito egiziano ( leggere qui bit.ly/3DzE1YX ).
“Un conflitto non necessario”, come racconta Plutarco. Unico sollievo, avere vicino a te Cleopatra».
Salve et tu, Johannes. Scusa, ma non voglio parlare di lei. Storia finita. Fattela raccontare da lei.
Voglio invece dire ancora qualcosa sul rischio che ho corso ad Alessandria.
Ricorda che io ero un politico prestato alla guerra. Malgrado questo ero praticamente imbattibile.
«Lo so. Imbattibile nelle guerre asimmetriche, quelle in cui tra i contendenti c’è una disparità non solo di forze, ma anche di strategia e tattica.
Hai scritto molto al riguardo nei libri del De bello Gallico, il racconto della tua conquista della Gallia».
Dunque Johannes hai dialogato con tutti ormai. Con Augusto, con Caligola, persino con Nerone. Con donne romane come Livia Drusilla e Messalina e con nemici di Roma come Annibale e Pirro. Per non parlare di quel vigliacco di Gaio Flaminio Nepote sconfitto da Annibale sul Trasimeno
«Piano con le offese. Gaio Nepote meritava un dialogo. Molti altri sono stati sconfitti da Annibale, ma Polibio e Livio si sono guardati bene da sottolinearlo.
Publio Cornelio Scipione o Tiberio Sempronio Longo, per esempio.
Per non parlare dei generali sconfitti a Canne».
Gaio Flaminio Nepote era stato eletto tribuno, portavoce delle istanze della plebe.
Che poteva legiferare.
E cosa ti inventa con la prima legge?
Distribuire ai poveri le terre conquistare ai Galli. Capisci? Le terre che spettavano ai patrizi lui li voleva dare ai poveri.
«Troppo piccola» mi dissero.
«Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello. Per questo non potrai mai giocare in Nazionale.» Io non capivo. Amavo quello sport. Avevo cominciato a giocarci a dieci anni e già a tredici avevo esordito nel campionato nazionale.
L’inizio dell’ultima storia di “Non esistono piccoli campioni”, quella sulla cubana Mireya Luis, sembra la storia della mia vita, Johannes.Troppo piccolo.Da non poter giocare nell’NBA. Eppure io amavo e amo giocare a basket. Forse è il caso di raccontare la mia storia dall’inizio
Papà era un appassionato di Basket NBA.
Vecchio tifoso dei Lakers, dopo che io ero nato, il 7 febbraio 1989, aveva fatto una scommessa con un amico durante le Finals di quell’anno.
I LA Lakers contro i “cattivi ragazzi”, come venivano chiamati i Detroit Pistons.
23 agosto 2021.
Quarantatrè anni. Quelli che avrei potuto compiere oggi. Purtroppo è andata diversamente. So che non mi avete dimenticato. Il fatto che Johannes voglia riproporre la mia storia lo dimostra.
Una storia che inizia da una fine.
La mia ultima partita.
Prima o poi doveva succedere.
È stato un percorso lungo, ma ho preso la mia decisione. E mentre aspetto di scendere in campo per l’ultima volta la mia mente corre a quando tutto è iniziato.
A quel “soldo di cacio” che crebbe mangiando gnocchi, lasagne e salsicce.
Mio padre Joe lo chiamavano “Jellybean”, caramella di gelatina, perché lui era sempre sorridente e scherzava di continuo, in campo e fuori.
Voleva trasmettere la sua allegria a chi gli stava intorno.
«Alcune volte clown, altre volte giocatore di basket» scrivevano i giornali.