Parlare di Bourdieu mi ha fatto venire in mente questo studio di un allievo di Charle e Karady (e quindi piena scuola Bourdieu) che ci dice molto sulla mobilità accademica, e perciò sulla formazione della classe dirigente, nell'800
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Di quel periodo conoscevamo già bene la mobilità verso la Mecca della "nuova" università di ricerca ottocentesca, la Germania prima ancora che diventasse Reich. Da tutta Europa ci andavano laureati giovani s meno giovani per imparare come si studiava e si faceva ricerca
Al punto che questo movimento divenne istituzionalizzato: tutti i maggiori governi, compreso il nostro dal 1861, finanziano borse di ricerca per la Germania, instaurando contatti formali con atenei e governi
Gli studenti vanno, imparano, tornano a casa dove di solito fanno carriera, insegnano i metodi imparati (su tutti il seminario) e mantengono i contatti con i grandi centri culturali tedeschi
Si tratta di un capitale di diplomazia culturale che il Reich si troverà in mano e non saprà sfruttare, dilapidandolo con "l'assalto al potere mondiale" del 1914. Ma soprattutto è una rete di movimenti promosso istituzionalmente e facilmente identificabili
Troppo spesso si è sottovalutato un altro centro di mobilità, in declino a fine '800 e forse troppo "solo" in un paese da cui succhiava ogni energia intellettuale: Parigi
Anche qui c'erano tanti studenti e laureati stranieri, ma arrivavano per dinamiche almeno in parte diverse. Pochi erano mandati con borse di studio, tanti ci arrivavano scappando, in una capitale comunque più libera e accogliente di quasi tutta l'Europa assolutista
C'erano italiani come Michele Amari, che imparò a Parigi l'arabo durante l'esilio per l causa italiana; austriaci e ungheresi della borghesia nazionalista antiasburgica; studenti e studiosi slavi; ebrei da ovunque
Una migrazione, insomma che avveniva a dispetto dei governi dei paesi di provenienza, che per cause politiche vedevano drenata una potenziale classe dirigente che a casa non lo sarebbe mai stata.
Del resto il caso dei molti italiani tornati in patria dopo la vittoria dei loro ideali era raro. Per lo più si trattava di una migrazione senza ritorno, che non arricchiva due paesi di un contatto ma ne arricchiva uno solo di nuovi leader
Perché la Francia dalla III Repubblica in poi, dicevo, ha una classe dirigente con cognomi strani, slavi e ungheresi (buon ultimo un tal Sarkozy), tedeschi non solo perché alsaziani, ebrei sefarditi (Mendès- France), italiani...
Tutti uguali, tutti scelti secondo i criteri di costruzione della Noblesse d'Etat, tutti che a studiato che si sono fatti il mazzo. Tutti che, stranieri o no, potevano permettersi di studiare e farlo bene
Perché Bourdieu ci spiega appunto che la meritocrazia alla francese non bada ai confini nazionali, ma a quelli di censo, volente o nolente, spesso sì. E si vedono i risultati quando questa classe dirigente si ricompatta e tutti diventano più francesi sei francesi
*hanno studiato e che
*dei francesi
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Si sa che nella distopia di Young la meritocrazia non è/sarà una grande idea. Ma nella realtà cosa è stata? In prima battuta, un espediente che a Harvard e Yale si iscrivessero troppi ebrei.
Ce lo racconta Karabel
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A fine '800, quando per entrare nelle grandi università USA bisognava fare poco altro che pagare la retta, i rampolli della borghesia ebraica, che puntavano molto su professioni che richiedevano il college, erano troppi
Intendiamoci, erano ospiti graditi (e paganti), ma erano troppi per istituzioni che intendevano dare a un paese privo di un'aristocrazia di sangue una classe dirigente.
"Intellectuals... are pretentious, conceited... and snobbish; and very likely immoral, dangerous, and subversive.... The plain sense of the common man is an altogether adequate substitute for, if not actually much superior to, formal knowledge and expertise"
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Così, nel 1963, Richard Hofstadter sintetizzava i caratteri del sentimento anti-intellettuale che, a suo dire nel suo lavoro forse più maturo e interessante, attraversava la storia degli USA ricomparendo periodicamente come un fiume carsico
Storico, comunista fino alla fine degli anni '30 e poi divenuto pioniere della storia intellettuale americana proprio maturando il distacco dalla visione economicistica propugnata dal marxismo più rigido, nel volume l'autore tirava le somme di una esperienza decisiva
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Ancora nel 2013, Paolo Prodi affermava che nei sistemi istituzionali occidentali la corporazione universitaria è emersa come "quarto (o quinto) potere", in quanto depositaria della gestione collettiva del sapere critico rivistailmulino.it/a/paolo-prodi-…
Egli generalizzava così quello che il suo collega e amico Pierangelo Schiera diceva negli anni '70-'80 pensando alla "sua" Germania, ovvero il ruolo "costituzionale" delle istituzioni universitarie
L'autonomia della sfera accademica, in istituzioni e individui, serve proprio a questa funzione: fare in modo che le istituzioni politiche abbiano bisogno di ricevere la legittimazione scientifica del loro operato e delle idee che propongono...
Nei giorni di festa sospenderò la lettura dei temi sull'istruzione superiore fiorentino nell'800 per riprendere in mano un testo più leggero 😂
Scherzi a parte si tratta di una ricerca molto interessante sulla parabola dell'istruzione cattolica negli USA 👇
Fin dall'inizio della scolarizzazione di massa, le scuole cattoliche sono state le istituzioni educative confessionali più favorevoli al sostegno pubblico alle loro iscrizioni, differenziandosi dal rigoroso separatisti protestante per varie ragioni
Da un lato c'era la consapevolezza di appoggiarsi a istituzioni e a una cultura abbastanza forte da resistere agli inevitabili tentativi di ingerenza da parte di un potere pubblico "pagante". Ma a ciò si aggiungeva anche una loro specifica funzione sociale
Breve (e iper schematico, ovviamente) thread per i duri di comprendonio sul rapporto tra politica e ricerca scientifica, in qualsiasi ambito, anche nelle scienze sociali, anche nella politica universitaria. Così mettiamo in chiaro le cose una volta per tutte
La politica tra le tante cose è gestione del consenso e degli orientamenti generali di elettori e opinione pubblica. Chiaramente funziona meglio se tutti gli attori (cittadini, rappresentanti, gruppi di pressione) si fanno sui temi un'opinione informata...
...ma è anche giusto, oltreché inevitabile, che le due dinamiche esprimano innanzitutto logiche si consenso.
Ecco, le istituzioni politiche, schematizzando al massimo, hanno il compito di (e la legittimità per) individuare gli obiettivi generali
Spesso si parla di un problema italiano di "analfabetismo scientifico". La questione così mi è sempre sembrata posta in modo inappropriato, e ultimamente sono convinto che l'errore possa anche essere pericoloso
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Prima di tutto, dire che in Italia non si conoscono abbastanza la scienza e il suo metodo d'indagine dà per sottinteso che invece si studiano "troppo" bene le discipline umanistiche, togliendo tempo alle "cose importanti"
Anche se non si arriva ai livelli dei giovani dottorandi che sperano di farsi notare da Boldrin o da uno dei suoi sodali berciando di abolizione del liceo classico, un orientamento del genere è sbagliato, prima che offensivo