La famigerata #schwa può piacere o non piacere, ma è curioso il dibattito che sta suscitando in questo Paese, ed è curioso che turbi intellettuali quali Barbero, Cacciari o Celestini al punto da spingerli a promuovere una petizione per contrastarne la diffusione.
Nel frattempo, il politicamente corretto di cui si lamentano è talmente predominante sulla cultura contemporanea, ma talmente predominante che in alcuni stati americani si mettono al bando...
... libri come Maus, dedicati all’Olocausto (altro che cancel culture), e già sappiamo che quando oltreoceano prende il via una brutta tendenza, presto o tardi arriva anche qui: ma continuiamo pure a preoccuparci della schwa.
Viene quindi da chiedersi se questi difensori della lingua italiana ci vivano davvero, in Italia, perché l’Italia è quel Paese che ha passato un’intera settimana a discutere a proposito dell’elezione della più alta carica dello Stato utilizzando come se nulla fosse...
... l’espressione “un Presidente donna”, quando la nostra lingua prevede la locuzione “una Presidente”, che in italiano esiste, se non dall’epoca di Dante, certamente da molto tempo, e non è certo spuntata adesso per colpa dei millennial o delle nuove femministe.
Il che pone un problema un filino più urgente della schwa, ovvero che da un paio di generazioni, tenendo conto dell’età media di giornalisti e leader rigorosamente maschi che occupano il dibattito pubblico, gli italiani non sanno più parlare e scrivere nella loro lingua madre.
Se proprio qualcuno vuole firmare una petizione, ne firmi una per reintrodurre l’insegnamento dell’italiano alle elementari. Ce n’è tanto bisogno.
"Continuavano a ripetermi che un professionista deve pensare solo a giocare, e forse avevano ragione. Nel calcio il pallone veniva prima di qualsiasi buona intenzione. Io però cominciai a pensarla diversamente. Da quel Natale del 1977. @JohannesBuckler#AstutilloMalgioglio
Avevo diciannove anni quando alcuni amici mi invitarono a far visita a un centro per bambini cerebrolesi. Ci andai accompagnato da Raffaella, la mia fidanzata. Quella visita cambiò la mia vita. Anzi. La nostra.
«Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri.»
"#MonicaVitti aveva dei tempi tutti suoi e sempre un modo non convenzionale di dire le battute, però perfetto. Era una donna bellissima, di una bellezza fredda, raffinata, che però riusciva a essere comicissima. E non era scontato, a quell’epoca.
Quando ha cominciato a recitare le commedie, per esempio "Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca", ha aggiunto alla sua capacità di rappresentare con il volto il vuoto esistenziale, che è una cosa difficilissima, gli eccessi verbali e fisici che la commedia ritiene.
Una scena emblematica è quella del ristorante. Mastroianni dice al cameriere, mentre fa l’ordinazione: «Alla zoccola qui presente, una pizza Napoletana. Al cornuto, che sarei io, niente» e poi parte con una tirata di gelosia folle.
Nella Giornata Internazionale del #Gatto, leggete la storia del gatto Oscar, l’inaffondabile.
L’ha raccontata @JohannesBuckler, in “Non esistono piccole storie”, che puoi acquistare sul nostro sito: bit.ly/johannesbuckler
Già. Mi chiamarono l’inaffondabile. E questa è la mia storia. Mi imbarcai per il mio primo viaggio sulla nave da battaglia Bismarck nel maggio del 1941. Era una nave tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del celebre cancelliere.
Gli inglesi ci avevano dato la caccia. E ci avevano affondato. Erano le 10.36 del 27 maggio 1941, quando la Bismarck affondò. Fui tra i pochi a salvarmi. Venni ritrovato dall’equipaggio del cacciatorpediniere britannico Cossack, appollaiato su di un’asse galleggiante
"A me, mio padre, mi era simpatico, anche se mi faceva alzare presto. La mattina apriva tutte le finestre, anche a meno dieci gradi. Non amava il buio. Mi svegliava con ordini gutturali: Achtung, gema, raus, auf. E ogni tanto gli scivolava via un po’ di tedesco.
Spazieren, Essen, Kartoffel, Brot, Abort... che significa ‘latrina’. L’aveva imparato a Ebensee, ed era una lingua brutta, fatta di abbai e ordini, perfetta per svegliare un adolescente.
Mio padre mi era simpatico, ma la mattina alle 6 quando mi urlava addosso in tedesco, mi urtava, parecchio. Soprattutto la domenica, quando in teoria si può dormire, e lui mi svegliava, o il 25 aprile che mi svegliava per portare corone d’alloro ai cippi di via Sette Martiri.
Franca Viola era nata ad Alcamo, in Sicilia, in una famiglia di agricoltori. Eravamo coetanei, compaesani e amici d’infanzia. Direi, più che amici, fidanzatini. Franca era la ragazza più bella di Alcamo. Aveva diciassette anni e undici mesi, quel giorno.
Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Dopo il suo rifiuto, aveva bruciato la vigna del padre. Ma non si era fermato lì.
Il 26 dicembre 1965, alle ore 9, con l’aiuto di dodici amici, era entrato in casa della famiglia Viola.
#Porrajmos, “grande divoramento”, è la parola con cui Rom e Sinti definiscono lo sterminio che ha inghiottito centinaia di migliaia di persone provenienti da tutta Europa, all’interno dei ghetti, nei campi di concentramento e sterminio, nelle fosse comuni. #2agosto#Thread
I Rom e Sinti residenti in Germania sono i primi a partire sui treni diretti verso la Polonia: censiti e catalogati all’interno di un registro creato appositamente – sotto la supervisione del“Centro per la Ricerca sull’Igiene Razziale e la Biologia Demografica”.
Nel maggio 1940 sono in mille, radunati alla Fiera di Deutz, arrivati là da Colonia e dintorni, con i bambini e i violini e i sacchi impilati a terra. Solo bagagli di piccole dimensioni, quello che potevano trasportare, come era stato ordinato loro.