"Continuavano a ripetermi che un professionista deve pensare solo a giocare, e forse avevano ragione. Nel calcio il pallone veniva prima di qualsiasi buona intenzione. Io però cominciai a pensarla diversamente. Da quel Natale del 1977. @JohannesBuckler#AstutilloMalgioglio
Avevo diciannove anni quando alcuni amici mi invitarono a far visita a un centro per bambini cerebrolesi. Ci andai accompagnato da Raffaella, la mia fidanzata. Quella visita cambiò la mia vita. Anzi. La nostra.
«Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri.»
Sono nato a Piacenza, il 3 maggio 1958. Cresciuto calcisticamente nelle Giovanili del San Lazzaro, poi alla Cremonese e quindi al Bologna. Debuttai all’ultima giornata. Per poi passare al Brescia in Serie b. Era il 1977. Sì, proprio l’anno di quella visita che cambiò la mia vita.
Sposai Raffaella, nacque Elena. Insieme, decidemmo di dedicare il nostro tempo e i nostri guadagni a quei ragazzi meno fortunati. Io studiai fisioterapia. A un portiere si chiede di parare, senza pensare troppo, ma la vita non può essere solo una palla.
In Serie a continuai a farmi notare. Il più bel complimento ricevuto? Quello di Dino Zoff, dopo una Juventus- Brescia: «Quello è un portierino di grande classe. Sembra un papero, ma ha coraggio e stile. Proprio quello che ci vuole per essere qualcuno in questo ruolo».
Purtroppo, non potemmo evitare la retrocessione e l’anno dopo venni escluso dalla squadra per dissapori con l’allenatore Perani. «Quello pensa agli handicappati, anziché parare» diceva. E io non capivo.
Non saltavo mai un allenamento. Sì, una volta finito scappavo dal campo, ma perché volevo andare ad aiutare quei bambini che mi stavano aspettando. Volevo aiutarli a camminare, a muoversi un pochino da soli. Nella nostra palestra, le terapie per i bambini disabili erano gratuite.
Sapevano tutti della mia palestra. L’Associazione Calciatori aprì una sottoscrizione tra tutti i mille calciatori di tutte le categorie per raccogliere fondi per quei ragazzi.
Il ricavato di 700 mila lire non fu un granché ma era già qualcosina.
Di grandi persone ne ho incontrate.
Come Jurgen Klinsmann. Un giorno mi chiese perché scappavo via alla fine degli allenamenti. “Domani vengo con te, voglio vedere con i miei occhi quello che fai” mi disse.
E venne davvero. Passando tutto il pomeriggio con i miei ragazzi.
700.000 lire aveva raccolto l’Associazione Calciatori per la mia palestra.
Lui prima di tornare a Milano mi diede un assegno. Con gli occhi lucidi. Come i miei e di Raffaella quando vedemmo la cifra. 70 milioni (settanta milioni).
Non ci potevamo credere.
La palestra ERA 77 ha superato diverse difficoltà, Persino la chiusura per mancanza di fondi. Malgrado ciò ha sempre garantito le cure a domicilio. Anche Astutillo ha superato problemi di salute ed è tornato ad aiutare i suoi ragazzi."
"#MonicaVitti aveva dei tempi tutti suoi e sempre un modo non convenzionale di dire le battute, però perfetto. Era una donna bellissima, di una bellezza fredda, raffinata, che però riusciva a essere comicissima. E non era scontato, a quell’epoca.
Quando ha cominciato a recitare le commedie, per esempio "Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca", ha aggiunto alla sua capacità di rappresentare con il volto il vuoto esistenziale, che è una cosa difficilissima, gli eccessi verbali e fisici che la commedia ritiene.
Una scena emblematica è quella del ristorante. Mastroianni dice al cameriere, mentre fa l’ordinazione: «Alla zoccola qui presente, una pizza Napoletana. Al cornuto, che sarei io, niente» e poi parte con una tirata di gelosia folle.
Nella Giornata Internazionale del #Gatto, leggete la storia del gatto Oscar, l’inaffondabile.
L’ha raccontata @JohannesBuckler, in “Non esistono piccole storie”, che puoi acquistare sul nostro sito: bit.ly/johannesbuckler
Già. Mi chiamarono l’inaffondabile. E questa è la mia storia. Mi imbarcai per il mio primo viaggio sulla nave da battaglia Bismarck nel maggio del 1941. Era una nave tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del celebre cancelliere.
Gli inglesi ci avevano dato la caccia. E ci avevano affondato. Erano le 10.36 del 27 maggio 1941, quando la Bismarck affondò. Fui tra i pochi a salvarmi. Venni ritrovato dall’equipaggio del cacciatorpediniere britannico Cossack, appollaiato su di un’asse galleggiante
"A me, mio padre, mi era simpatico, anche se mi faceva alzare presto. La mattina apriva tutte le finestre, anche a meno dieci gradi. Non amava il buio. Mi svegliava con ordini gutturali: Achtung, gema, raus, auf. E ogni tanto gli scivolava via un po’ di tedesco.
Spazieren, Essen, Kartoffel, Brot, Abort... che significa ‘latrina’. L’aveva imparato a Ebensee, ed era una lingua brutta, fatta di abbai e ordini, perfetta per svegliare un adolescente.
Mio padre mi era simpatico, ma la mattina alle 6 quando mi urlava addosso in tedesco, mi urtava, parecchio. Soprattutto la domenica, quando in teoria si può dormire, e lui mi svegliava, o il 25 aprile che mi svegliava per portare corone d’alloro ai cippi di via Sette Martiri.
Franca Viola era nata ad Alcamo, in Sicilia, in una famiglia di agricoltori. Eravamo coetanei, compaesani e amici d’infanzia. Direi, più che amici, fidanzatini. Franca era la ragazza più bella di Alcamo. Aveva diciassette anni e undici mesi, quel giorno.
Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Dopo il suo rifiuto, aveva bruciato la vigna del padre. Ma non si era fermato lì.
Il 26 dicembre 1965, alle ore 9, con l’aiuto di dodici amici, era entrato in casa della famiglia Viola.
#Porrajmos, “grande divoramento”, è la parola con cui Rom e Sinti definiscono lo sterminio che ha inghiottito centinaia di migliaia di persone provenienti da tutta Europa, all’interno dei ghetti, nei campi di concentramento e sterminio, nelle fosse comuni. #2agosto#Thread
I Rom e Sinti residenti in Germania sono i primi a partire sui treni diretti verso la Polonia: censiti e catalogati all’interno di un registro creato appositamente – sotto la supervisione del“Centro per la Ricerca sull’Igiene Razziale e la Biologia Demografica”.
Nel maggio 1940 sono in mille, radunati alla Fiera di Deutz, arrivati là da Colonia e dintorni, con i bambini e i violini e i sacchi impilati a terra. Solo bagagli di piccole dimensioni, quello che potevano trasportare, come era stato ordinato loro.
"A me, mio padre, mi era simpatico, anche se mi faceva alzare presto. La mattina apriva tutte le finestre, anche a meno dieci gradi. Non amava il buio. Mi svegliava con ordini gutturali: Achtung, gema, raus, auf.
E ogni tanto gli scappava un po' di tedesco: spazieren, Essen, Kartoffel, Brot, Abort... che significa ‘latrina’. L’aveva imparato a Ebensee, ed era una lingua brutta, fatta di abbai e ordini, perfetta per svegliare un adolescente.
Mio padre mi era simpatico, ma la mattina alle 6 quando mi urlava addosso in tedesco, mi urtava. Soprattutto la domenica, quando in teoria si può dormire, e lui mi svegliava lo stesso, o il #25aprile che mi svegliava per portare corone d’alloro ai cippi di via Sette Martiri.