Torni a Genova per le vacanze di Natale.
Sai che ti farà male, ma vuoi andare a vedere coi tuoi occhi la ferita subita dalla città il 14 agosto 2018.
Forse, nel tuo intimo, ti vuoi illudere che sia stato tutto un incubo o, come va di moda oggi, una fake news. Un complotto.
Vuoi vedere un ponte. Il ponte. Che scavalca fiume, strade, ferrovie, case e stabilimenti nella sua inquietante maestosità.
E allora una mattina prendi la metropolitana a Brignole e scendi al capolinea opposto, a Brin.
E ti incammini verso via Fillak. Poi la raggiungi e la percorri in direzione mare.
Vedi avvicinarsi la campata del ponte... alta, enorme, incombente sulle case.
Intatta... non è una delle campate interessate dal crollo e da lì non puoi vedere il resto del ponte.
E inconsciamente magari speri...
Ti avvicini. E cominci a vedere.
Prima lo sbarramento, la famosa zona rossa. Poi il moncone est.
Se tu non sapessi, se tu non avessi visto (e percorso!) quel ponte mille volte il taglio apparentemente netto potrebbe farti quasi credere che sia un ponte ancora in costruzione.
O magari invece una delle mille opere incompiute di questo paese.
Invece tu quel ponte lo hai visto.
Poi arrivi allo sbarramento, non puoi passare.
Devi deviare in via Campi, muoverti in direzione del fiume, non in direzione del ponte.
E a un certo punto all'improvviso alla tua sinistra rivedi il moncone. E vedi che il taglio non è netto.
Sembra come rosicchiato. C'è anche il metallo deformato.
E al più tardi ora la realtà ti colpisce come un pugno alla bocca dello stomaco.
E arrivando in via Perlasca vedi anche il moncone ovest.
Quello senza le torri che danno un'illusoria idea di forza e resistenza.
E ti chiedi come fa a stare su, se per caso stia fluttuando nell'aria.
E poi ci arrivi sotto.
No, in realtà sotto non ci arrivi. Sotto i monconi non ci puoi andare.
Tu in realtà vorresti farlo, vorresti vedere tutto... vorresti ferirti come è ferita la tua città.
Ma giustamente non puoi.
Non puoi per la tua sicurezza e non puoi per non rompere le palle a chi lì sta lavorando. Indirettamente lavorando anche per te.
Però arrivi nel punto in cui, se il ponte ancora ci fosse, ci saresti stato sotto o quasi.
Prosegui oltre, vuoi vedere anche dall'altro lato.
Prosegui e continui a guardarti dietro le spalle. A guardare quei due monconi.
E ogni tanto alla tua sinistra vedi resti delle macerie del ponte e delle costruzioni sottostanti non ancora portate via.
E arrivi a via Renata Bianchi un ponte cittadino sul Polcevera che i genovesi che arrivano da questo lato usano per andare all'IKEA, sull'altro lato.
E ti fermi a metà.
Per guardare il ponte.
Per quardare il buco.
Il vuoto rimasto.
Vedere un ponte.
Sperare, presto, di vederne un altro.
Saluti,
Mauro.
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