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Le ragioni della crisi economica venezuelana, iniziata nel 2013, vanno ricercate in una serie di errori ereditati (e alcuni reiterati) dai governi Chavez e Maduro e da shock esogeni, come il crollo del prezzo del petrolio e le pesanti sanzioni economiche USA.
Verrebbe da dire che queste sanzioni siano state introdotte “per far urlare l’economia”, prendendo in prestito le esatte parole usate da Nixon per indicare ai servizi di intelligence la strategia prodromica al colpo di Stato in Cile cia.gov/library/report…
Tra le debolezze imputabili all’esperienza bolivariana va evidenziato il fallimento della politica di diversificazione produttiva e l’intensificarsi della dipendenza dalla rendita petrolifera.
Le conseguenze negative della strategia monoesportatrice hanno presentato il conto nel 2014 con il crollo del prezzo del petrolio. Da tale momento il valore delle esportazioni si è contatto, con esso sono crollate le riserve di $. Da qui la nascita di un mercato nero della valuta
Speculatori e classi più benestanti (“gusanos”), cacciati dalla porta del Palacio de Miraflores, hanno trovato il modo per rientrare dalla finestra, controllando i prezzi interni e spingendo al rialzo il divario tra cambio ufficiale e quello del mercato nero.
Sarebbe un greve errore concludere che le difficoltà economiche inizino con Chavez o con Maduro, come i grandi media vogliono far credere presentando il Venezuela del ventesimo secolo come un paradiso di prosperità e democrazia.
I media "dimenticano" che il Venezuela fosse un paese fortemente polarizzato al livello sociale: la ricchezza accumulata negli anni 70 era servita a arricchire oligarchi dell’industria petrolifera, grandi proprietari terrieri e alta borghesia urbana di discendenza europea.
Forse i media vogliono che siano ancora una volta le classi subalterne a pagare il prezzo della crisi, così come avvenne negli anni ’90, quando fu implementato un pacchetto di riforme neoliberali, noto come “El Gran Viraje”?
Tali misure erano chieste a gran voce da gruppi imprenditoriali, per preservare il loro controllo sulle risorse e perpetrare un sistema di accumulazione che lasciava indietro gli ultimi e che li privava, grazie al sistema bipartitico, di rappresentanza politica.
Il pacchetto di riforme fu progettato da un gruppo di economisti (detti gli “IESA Boys” per sottolinearne la convergenza ideologica coi “Chicago Boys”, quelli che plasmarono l’economia cilena sotto Pinochet). Riduzione di spesa sociale e dazi, privatizzazioni e deregolamentazioni
Il PIL procapite si ridusse ulteriormente, gli investimenti pubblici e privati rimasero al palo, la povertà raddoppio, la quota salari sul PIL si ridusse.
Insomma, non è la prima volta che l’economia venezuelana attraversa una fase di grave recessione ma solo dalla Presidenza Chavez si trova a fronteggiare boicottaggi, serrate padronali, sanzioni economiche e tentativi di golpe appoggiati dal capitale Occidentale.
Questo perché s vuole porre fine alla lotta bolivariana di emancipoazione dal monopolio dei grandi gruppi petroliferi occidentali e al processo di redistribuzione delle terre iniziato con la riforma agraria del 2001.
Si vuole altresì porre fine alle conquiste di diritti sociali ed economici da parte di chi ne era stato escluso fino a quel momento, eliminando i programmi di assistenza sociale introdotti da Chavez per eradicare la povertà in ogni sua dimensione.
Le Misiones sono state strumenti determinanti nel conseguimento dei successi registrati fino a prima dell’inizio della crisi: riduzione della povertà, delle diseguaglianze e della mortalità infantile, aumento del tasso di alfabetizzazione.
Ma soprattutto si vuole interrompere la svolta multipolarista intrapresa in politica estera attraverso l’alleanza con Cuba e altri Paesi in conflitto con gli USA (Iran e Siria). A questo va aggiunta l'alleanza con la Cina in campo economico, e con la Russia in campo militare.
In poche parole, la narrazione dominante è funzionale a propagandare un regime change diretto a riallineare il Venezuela all’asse atlantico.
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