Riguardo all'accordo sulla riforma #Irpef, mi pare di capire che:
– la fascia di reddito fino a 15k rimane invariata con aliquota al 23%;
– meno tasse per le fasce "di mezzo", con quella 15-28k che passa dal 27% al 25%, e quella 28-55k che diventa 28-50k e passa dal 38% al 35%;
– al posto delle due fasce più alte (55-75k e 75k+) ne avremo una sola (50k+) a cui viene applicata l'ex aliquota massima del 43%.
Quali risultati produrrebbe questa riforma?
Per i redditi bassi e medio bassi cambierebbe poco. Chi guadagna 20.000€ risparmia circa 100€ all'anno, chi arriva a 28.000€ risparmia 260€ all'anno.
Va molto meglio ai redditi medio-alti. Chi guadagna 38.000€ annui arriverebbe a risparmiare 560€ l'anno.
I benefici si riducono man mano che si sale, ma non si annullano: un reddito di 70.000€ annui risparmia ancora, ma meno: 370€ l'anno.
Un reddito di 100.000€ annui risparmia comunque 270€ l'anno.
Commento provvisorio (sperando di avere fatto i conti bene): è una riforma che abbassa le tasse ma i cui benefici vanno solo in minima parte a chi sta sotto i 28.000€ annui (il 78% dei contribuenti). I benefici più consistenti sono per quel 16% che va da 28.000 a 50.000€ annui.
C'è da dire, per complicare ulteriormente, che l'Irpef misura correttamente il reddito solo per i dipendenti. Un dipendente e un libero professionista con un reddito dichiarato di 20k annui ciascuno difficilmente hanno lo stesso tenore di vita. Ma pagano le stesse tasse.
Quest'ingiustizia ha a che vedere con l'amplissima evasione ed elusione fiscale su cui non si agisce con l'Irpef, ma che andrebbe aggredita rendendo la vita più difficile agli evasori. Mi permetto un po' di scetticismo sulla volontà di farlo, anche se la digitalizzazione aiuta.
Resta il fatto che questa riforma, così com'è stata annunciata, darà zero o pochi "soldi in più in busta paga" ai dipendenti a reddito basso e medio-basso. E i ricchi non ci vanno a perdere. Insomma, la progressività del sistema non migliora.
Nelle misure decise dal governo per contenere la risalita dei casi (tutte condivisibili) manca una seppur minima marcia indietro sul "tutti in presenza" per la pubblica amministrazione. #Covid_19#supergreenpass
Non vaccinati: niente cinema e ristoranti ma per favore continuate a comprarvi il tramezzino al bar. 🙏
Spicca anche, stando alle anticipazioni, che il sistema dei "colori" vada in pensione per sempre. Ogni regione libera di allentare e restringere come crede. Il rischio di un contenimento "a macchia di leopardo" cresce, e non è una cosa buona.
Questo intervento, che critica quello delle allieve della #Normale alla cerimonia di consegna dei diplomi, mi sembra molto debole, sia nello stile argomentativo, sia nelle posizioni che sostiene. Provo a fare alcune critiche.
Gran parte del pezzo ruota intorno al fatto che le studentesse non avrebbero dovuto dire quello che hanno detto, nell'ordine:
– perché non in grado (paragonandole a persone che mettono benzina all'auto e pretendono di parlare di compagnie petrolifere);
– perché “quattro o cinque anni di frequenza universitaria come studentesse e studenti non bastano, di per sé, a mettere queste studentesse e studenti nella condizione di dire cose particolarmente profonde o interessanti sull’università” (neanche fossero delle adolescenti);
Sul Financial Times, @MESandbu intervista @rodrikdani, che smonta pezzo per pezzo l'armamentario ideologico del "Washington consensus". Merita un riassunto, quantomeno dei punti principali:
Rodrik dice "I democratici di Clinton, il New Labour, l'SPD, i socialisti francesi negli anni 1990 erano così affascinati dal modello neoliberale da averlo essenzialmente adottato, e addolcito con un po' più di attenzione ai poveri".
Ancora: "Viviamo in un mondo dove il problema è che, per via di diverse tendenze (cambiamenti tecnologici e globalizzazione dei mercati) abbiamo una penuria cronica di buoni lavori. Penso che la scomparsa di buoni lavori stia alla base della crescita dei populisti di destra".
Cosa ci dice la scienza politica su come si costruiscono le coalizioni e che performance ci possiamo aspettare da coalizioni più o meno larghe? #GovernoDraghi
La teoria dei poteri di veto di George Tsebelis (riassunta nel suo libro del 2002 "Veto players: how political institutions work") ci dice che in un governo multi-partito ogni partito è "veto player", cioè può opporsi a politiche che sono troppo lontane dalle proprie preferenze.
Intuitivamente, al crescere del numero dei partiti, si restringe il numero di politiche in cui i partiti possono trovare compromessi. Tsebelis rappresenta i possibili punti d'incontro dei partiti graficamente così:
Poi, quando la polvere si sarà depositata e il governo di salvezza nazionale sarà partito, spero potremo ragionare con calma di quanto anomalo sia stato che il capo dello stato abbia buttato un nome in mezzo senza consultare i partiti, 1/6 #Draghi
senza certezze su chi l'avrebbe sostenuto, senza uno straccio di prospettiva politica (anzi dicendo che il governo non avrebbe dovuto identificarsi "con alcuna formula politica"), niente.
2/6
Ora i partiti non devono solo posizionarsi, ma ovviamente devono pensare a che coalizione costruiscono (o rompono), che punti programmatici possono portare a Draghi, con chi possono farli avanzare. E tutto questo in un paio di giorni, perché signora mia bisogna far presto.
3/6
Uno dei mantra più ricorrenti di chi sostiene #Renzi è che non sia mai stato accettato nel Pd, che gli abbiano fatto la guerra perché considerato un corpo estraneo. Ma mettiamo in fila qualche fatto. #crisidigoverno
Renzi diventa segretario alla fine del 2013. I gruppi parlamentari sono prevalentemente stati scelti da #Bersani che era segretario al tempo delle elezioni.
Questi eletti di Bersani lo ostacolano talmente tanto che, passate poche settimane dalla sua elezione a segretario, promuovono l'avvicendamento con Enrico Letta e lo fanno direttamente presidente del consiglio.