Dimenticata dalla storia. Dimenticata da tutti. Eppure non me lo meritavo. Dovrei essere ricordata anche solo per essere stata la prima donna a insegnare Chimica all’Università delle Hawaii. Ma è andata diversamente. @JohannesBuckler#11febbraio#WomeninScienceDay
Mi chiamo Alice Ball, nata nel 1892 a Seattle. Il nonno era un grande fotografo che usava la tecnica della dagherrotipia, il primo procedimento fotografico per lo sviluppo delle immagini. Probabilmente fu proprio osservando lui e i suoi intrugli che mi innamorai della chimica.
All’Università di Washington mi laureai in Chimica farmaceutica e poi in Farmacia. Fu allora che cominciai a ricevere offerte per alcune borse di studio. Del resto, con due lauree in tasca a ventidue anni era il minimo. Tra Berkeley e le Hawaii scelsi quest’ultima.
Era il 1915 quando mi contattò il dottor Harry Hollmann. Era impegnato a curare pazienti affetti dalla malattia di Hansen. Pazienti confinati sull’isola di Molokai, da qualcuno detta “Terra della morte vivente”. La malattia di Hansen non è altro che la lebbra. Incurabile.
Gli antibiotici erano di là da venire, e c’era un solo modo per lenire quelle sofferenze: l’olio di Chaulmoogra. Ma come utilizzarlo? Impossibile applicarlo direttamente sulle piaghe, ancora peggio iniettarlo: troppo viscoso. Impossibile da ingerire.
Occorreva estrarne il principio attivo. E io avevo fatto una tesi sui principi attivi di un’altra pianta. Perciò il dottor Hollmann mi aveva chiesto aiuto. E mi misi subito al lavoro. Di notte, perché di giorno dovevo insegnare.
In meno di un anno riuscii a creare una soluzione di composti attivi dell’olio di Chaulmoogra. Iniettabile e senza grandi effetti collaterali. Fu una grande soddisfazione vedere i primi risultati sui malati. Ma non feci in tempo a pubblicarli, perché mi ammalai.
Tornai a Seattle, per morire il 31 dicembre 1916, all’età di ventiquattro anni. «Avvelenamento da cloro» scrissero. Forse pensando alla mancanza di ventilatori nei laboratori. Sul certificato di morte, tuttavia, è riportato: «Causa della morte: tubercolosi». Ma non è importante.
È importante è quello che accadde dopo. Quello che fece quel simpaticone di Arthur Dean, chimico e presidente dell’Università delle Hawaii. Fu lui a pubblicare i miei risultati, senza nemmeno menzionarmi. Per questo, al mio metodo fu dato il suo nome: metodo Dean. Carino, vero?
Alice Ball, una tra le tante ricercatrici dimenticate dalla storia. Un’altra donna. L’ennesima. La sua storia è raccontata da @JohannesBuckler nel suo secondo libro, "Non esistono piccole donne". Nel #WomeninScienceDay, puoi acquistarlo sul nostro sito. bit.ly/johannesbuckle…
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La famigerata #schwa può piacere o non piacere, ma è curioso il dibattito che sta suscitando in questo Paese, ed è curioso che turbi intellettuali quali Barbero, Cacciari o Celestini al punto da spingerli a promuovere una petizione per contrastarne la diffusione.
Nel frattempo, il politicamente corretto di cui si lamentano è talmente predominante sulla cultura contemporanea, ma talmente predominante che in alcuni stati americani si mettono al bando...
... libri come Maus, dedicati all’Olocausto (altro che cancel culture), e già sappiamo che quando oltreoceano prende il via una brutta tendenza, presto o tardi arriva anche qui: ma continuiamo pure a preoccuparci della schwa.
"Continuavano a ripetermi che un professionista deve pensare solo a giocare, e forse avevano ragione. Nel calcio il pallone veniva prima di qualsiasi buona intenzione. Io però cominciai a pensarla diversamente. Da quel Natale del 1977. @JohannesBuckler#AstutilloMalgioglio
Avevo diciannove anni quando alcuni amici mi invitarono a far visita a un centro per bambini cerebrolesi. Ci andai accompagnato da Raffaella, la mia fidanzata. Quella visita cambiò la mia vita. Anzi. La nostra.
«Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale e mi avevano già insegnato il rispetto e la solidarietà verso gli altri.»
"#MonicaVitti aveva dei tempi tutti suoi e sempre un modo non convenzionale di dire le battute, però perfetto. Era una donna bellissima, di una bellezza fredda, raffinata, che però riusciva a essere comicissima. E non era scontato, a quell’epoca.
Quando ha cominciato a recitare le commedie, per esempio "Dramma della gelosia. Tutti i particolari in cronaca", ha aggiunto alla sua capacità di rappresentare con il volto il vuoto esistenziale, che è una cosa difficilissima, gli eccessi verbali e fisici che la commedia ritiene.
Una scena emblematica è quella del ristorante. Mastroianni dice al cameriere, mentre fa l’ordinazione: «Alla zoccola qui presente, una pizza Napoletana. Al cornuto, che sarei io, niente» e poi parte con una tirata di gelosia folle.
Nella Giornata Internazionale del #Gatto, leggete la storia del gatto Oscar, l’inaffondabile.
L’ha raccontata @JohannesBuckler, in “Non esistono piccole storie”, che puoi acquistare sul nostro sito: bit.ly/johannesbuckler
Già. Mi chiamarono l’inaffondabile. E questa è la mia storia. Mi imbarcai per il mio primo viaggio sulla nave da battaglia Bismarck nel maggio del 1941. Era una nave tedesca della Seconda guerra mondiale, così battezzata in onore del celebre cancelliere.
Gli inglesi ci avevano dato la caccia. E ci avevano affondato. Erano le 10.36 del 27 maggio 1941, quando la Bismarck affondò. Fui tra i pochi a salvarmi. Venni ritrovato dall’equipaggio del cacciatorpediniere britannico Cossack, appollaiato su di un’asse galleggiante
"A me, mio padre, mi era simpatico, anche se mi faceva alzare presto. La mattina apriva tutte le finestre, anche a meno dieci gradi. Non amava il buio. Mi svegliava con ordini gutturali: Achtung, gema, raus, auf. E ogni tanto gli scivolava via un po’ di tedesco.
Spazieren, Essen, Kartoffel, Brot, Abort... che significa ‘latrina’. L’aveva imparato a Ebensee, ed era una lingua brutta, fatta di abbai e ordini, perfetta per svegliare un adolescente.
Mio padre mi era simpatico, ma la mattina alle 6 quando mi urlava addosso in tedesco, mi urtava, parecchio. Soprattutto la domenica, quando in teoria si può dormire, e lui mi svegliava, o il 25 aprile che mi svegliava per portare corone d’alloro ai cippi di via Sette Martiri.
Franca Viola era nata ad Alcamo, in Sicilia, in una famiglia di agricoltori. Eravamo coetanei, compaesani e amici d’infanzia. Direi, più che amici, fidanzatini. Franca era la ragazza più bella di Alcamo. Aveva diciassette anni e undici mesi, quel giorno.
Filippo Melodia, nipote di un boss, la voleva per sé. Dopo il suo rifiuto, aveva bruciato la vigna del padre. Ma non si era fermato lì.
Il 26 dicembre 1965, alle ore 9, con l’aiuto di dodici amici, era entrato in casa della famiglia Viola.