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Quando i Sakai videro il sottoscritto, cioè l’uomo bianco, sbucare dalla foresta ed entrare nel loro villaggio fuggirono a gambe levate. Non tutti.
Alcuni di loro iniziarono a scagliare dardi e frecce verso di me.
E una di queste mi colpì al ventre.
Che ci faceva uno di Varazze fra i cacciatori di teste?
Una lunga storia. Di vita.
Considerando che alla fine passai trentotto anni su sessantaquattro di vita quasi ininterrottamente nelle foreste tra tribù selvagge e feroci, direi una vita felice.
Sono nato il 28 novembre 1850.
Sì, proprio a Varazze, non ancora italiano.
Mio padre Antonio era un agiato negoziante e industriale di tessuti che commerciava persino con alcuni Stati americani. Mia madre si chiamava Colomba Parodi.
Non vi sto a raccontare la mia giovinezza.
Prima mozzo sulla nave "Fratelli Gaggino", di uno zio della mamma, poi marinaio di terza classe. In seguito secondo pilota sulla corvetta "Governolo". Infine, nel 1881, la tanto sospirata patente di capitano di lungo corso.
Sapete che ho vinto un premio all'Esposizione di Torino del 1884? A Singapore avevo aperto una piccola fabbrica per la preparazione dell'ananas e di altra frutta esotica.
Vinsi un premio per quello.
E a Singapore mi raggiunse mio fratello Vincenzo.
Ero però ripartito con un brigantino genovese fino a Nias, un'isola dell'Indonesia affascinato proprio da quel popolo, i crudeli Sakai.
Con un po’ di oro intasca avevo assoldato quattro uomini. Avevo detto loro che sapevo esattamente dove andare.
In realtà si accorsero subito che in quel posto non c’ero mai stato e di notte fuggirono. Lasciandomi solo.
Ero nella foresta da tre giorni scampato a tigri, dissanguato da sanguisughe, sanguinante per le lesioni riportate.
Ridotto così, ero arrivato al villaggio dei Sakai.
Come finì la storia della freccia nel ventre?
Rimbalzò e cadde a terra spezzata dopo aver sbattuto contro la placca di metallo che serrava la mia cinghia.
Fu allora che gli abitanti del villaggio si inginocchiarono. Credevano di aver incontrato “il principe del male”.
Fui fortunato, perchè quella tribù aveva un passatempo poco raccomandabile. Collezionava teste.
I Sakai si chiamavano in realtà Mai Darat e con loro vissi diversi anni.
Era un popolo primitivo, che viveva di selvaggina e di frutta.
E non beveva acqua perché quel “liquido viscido e scorrente” celava uno spirito maligno.
Si dissetavano solo con frutta.
Non lavandosi mai era sporchi e puzzolenti, ma con una grande dote, la danza.
Incantevole.
Una cosa mi colpì molto. Non conoscevano l’amore.
Almeno come lo intendiamo noi. E quindi nemmeno l’odio.
Ma la donna che aveva un figlio era sacra per sette giorni.
Non conoscendo il danaro non erano avidi, ma molto generosi.
Un giorno in un ruscello credetti di trovare dei fili d’oro.
Ma lasciai perdere.
Mi amarono a tal punto da eleggermi capo supremo con diritto di vita e di morte su tutti i Sakai.
Il Governo di Singapore convalidò quella nomina.
Vissi e soggiornai non solo con i Sakai, ma anche tra i Semang, i Negriti, i Sam Sam ed i Batacchi.
Sono morto il 28/06/1914 nell'ospedale di Penang, per un'infezione intestinale. Almeno credo.
Le mie spoglie, grazie a mia sorella Emilia Elvira, sono tornate in Italia nel 1933
Per le autorità inglesi ero un “Rajak”, un principe sovrano. Potevo diventare un avido mercante, guadagnare un sacco di soldi, ma non era la cosa che avevo desiderato.
Sulla mia tomba si potrebbe scrivere: “Passò vicino alla ricchezza senza batter ciglio”.
La mia vita non è solo quella raccontata in questo thread, ma è molto, molto di più.
Un po' come quella di Cesare Celso Moreno di qualche giorno fa.
Anche per me, come per Cesare, niente sui libri di storia.
A Varazze mi avete dedicato una via.
Beh, sempre meglio che niente.
Grazie a @FranzLivi per avermi invitato a raccontare la storia di questo esploratore, suo trisavolo.

La storia di Giovanni Battista Cerruti, l'esploratore romantico.
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