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Perché non ho ricevuto il Premio Nobel per le mie scoperte?
Una lunga storia.
Storia di misoginia, di avversione verso il lavoro di noi donne.
Iniziata fin dai 16 anni quando dissi a mio padre che volevo fare una cosa sola da grande: la scienziata.
Per questo mi ero iscritta al Newnham College di Cambridge.
Mio padre non la prese bene.
Le donne, secondo lui, potevano al massimo dedicarsi ad opere di beneficenza.
Che volete. Nel 1936 era così.
Dopo la laurea mi ero trasferita a Parigi, specializzandomi nella diffrazione dei raggi X. Fu lì che incontrai una gran bella persona, Vittorio Luzzati, cristallografo esperto di raggi X.
Nel 1951 mi trasferii a Londra, al King's College, diretto da quel simpaticone di Wilkins
Già. Diciamo che era simpatico come un’ortica tra le gambe.
Lavoravamo entrambi sul DNA, ma lui era un dilettante nell’uso delle tecniche di diffrazione dei raggi X. Sapete cosa pretese?
Che condividessi con lui le mie scoperte. Rifiutai. E per lui divenni la perfida femminista
Chi sono?
Rosalind Elsie Franklin, anche se mi chiamavano “Dark lady”, solo perché “all’età di 31 anni vestivo con la fantasia di un’occhialuta liceale”.
Più volte mi fecero capire che una “femminista” non era gradita in quel laboratorio.
Ma io non mi arresi. Mai
Sul lavoro la definizione dei ruoli era piuttosto lacunosa.
Tra l’altro ero costretta a lavorare in un ambiente bigotto e maschilista.
Perché avrei dovuto condividere con i miei colleghi maschi i risultati delle mie scoperte?
Avevo messo a punto una tecnica innovativa. Utilizzavo i raggi X per fotografare i costituenti di tutti i materiali viventi e non viventi, con una microcamera capace di produrre fotografie ad alta definizione dei singoli filamenti di DNA.
Come la famosa “Photograph 51”.
Mi arrabbiai quel giorno di gennaio del 1953. Stavo lavorando proprio su quella fotografia quando Watson entrò senza bussare.
Ci mancò poco che lo schiaffeggiassi.
James Watson con Francis Crick e Maurice Wilkins formavano proprio un bel trio.
Loro, come altri, erano impegnati a risolvere il complicato rebus della struttura del Dna e della sua capacità di replicarsi infinite volte. Erano agitati perché in ambiente scientifico si era sparsa la voce che Linus Pauling, e Robert Corey stavano per presentare una loro teoria
Come Wilkins riuscì ad avere la famosa fotografia 51 da mostrare a Watson?
Fu Raymond Gosling, il mio aiutante.
Rovistando nei miei cassetti.
Quella foto mostrava la forma B del Dna.
La struttura della molecola era un’elica, costituita dalle due forme tra loro intrecciate
"Come vidi la foto rimasi fulminato e sentii che il cuore si era messo a battere forte" scrisse quel simpaticone di Watson. E così il 7 marzo del 1953, Watson e Crick realizzarono il primo modello di Dna.
Grazie a me naturalmente. E alla moglie di Crick che realizzò la struttura
Nel frattempo me ne andai.
Con grande sollievo da parte del trio.
Era il 25 aprile del 1953 quando lessi sulla "Bibbia" scientifica Nature le loro conclusioni: "L’appaiamento da noi ipotizzato prospetta un possibile meccanismo di replicazione del materiale genetico". Che teneri
Nessun accenno alla sottoscritta. Certo, ero una donna, buona solo a lavorar di maglia.
Ma io avevo conoscenze che loro si sognavano. L’unico mio errore?
Lavorare ore ed ore senza indossare il camice di piombo per proteggermi dai raggi X.
Però “il lavoro veniva prima di tutto”
Perché non mi hanno dato il Premio Nobel? Perché quando venne dato a Watson, Crick e Wilkins, nel 1962, io ero già morta.
Da 4 anni, devastata dai raggi X.
Mi piace pensare che fu a causa del regolamento che non ammetteva il conferimento del premio a soggetti non viventi.
Certo, almeno un piccolo accenno durante la premiazione potevano farlo.
Invece niente.
Io ero, come scrisse Watson nel suo libro The Double Helix (La doppia elica) solo "la terribile Rosy, l’intellettuale irascibile che indossava brutti occhiali e aveva i capelli spettinati"
#MdT 17/01/2019 – Il caro Watson non si smentisce mai, uscendo con una delle sue solite sparate.
Secondo lui i neri hanno un QI inferiore ai bianchi. E dice anche che è una cosa genetica.

Perché non mi meravigliano queste sue parole?
Grazie a @Sindacoo e a @piergio141262 per avermi chiesto di raccontare la storia di Rosalind Elsie Franklin, la “scienziata capace di rendere bella qualunque cosa toccasse”.
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