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Che avrei dovuto fare? Ditemi, che avrei dovuto fare?
Peppino Impastato, ucciso due anni prima, lo aveva detto chiaro e tondo.
“E’ vero, la mafia uccide, ma il silenzio pure”.
Il silenzio e l’indifferenza possono uccidere.
Per questo avevo accettato quella proposta.
Ero un imprenditore all’epoca.
Gestivo con la famiglia un piccolo albergo, l’hotel “Riva Smeralda”, che si affacciava sul mare di Villagrazia di Carini, a pochi chilometri dall'aeroporto di Palermo.
Ad aiutarmi la mia bellissima famiglia.
Una famiglia serena e felice
Io, Carmelo Iannì, Giovanna mia moglie, e poi loro, i nostri tesori.
Liliana 18 anni, Roberta 16 anni, e la piccola Monica 11 anni, che ci aiutavano durante le vacanze estive.
Come tutti gli imprenditori ero fiero del mio lavoro e di quello che avevo creato.
Gli ospiti dell’albergo erano in maggioranza italiani, ma venivano da noi anche stranieri.
Sorrisi, simpatia, cordialità e disponibilità erano alla base del mio lavoro.
Erano tutti contenti di soggiornare da me.
Poi arrivò quel giorno.
Quel giorno di agosto del 1980.
In quegli anni era ancora la droga il business più redditizio della mafia.
La mafia siciliana forniva un terzo del fabbisogno del mercato mondiale, quattro tonnellate di eroina pura all’anno.
Ma aveva bisogno di esperti nella raffinazione
Faceva caldo in quell'agosto del 1980, molto caldo, quando si presentarono tre nuovi clienti chiedendo di soggiornare nel mio albergo.
Erano francesi, di Marsiglia.
Ma non erano turisti venuti in Sicilia per ammirare le bellezze dell’isola.
Lo compresi qualche giorno dopo quando si presentò nel mio ufficio la polizia.
Con una richiesta.
Poter infiltrare tra il personale dell’albergo alcuni poliziotti facenti funzione di camerieri e portieri d’albergo.
Per spiare quei tre francesi.
Uno dei tre infatti era Andreè Bousquet, il miglior chimico marsigliese in circolazione.
Era chiaro quindi che le raffinerie di droga si trovavano nel territorio di Palermo. Probabilmente vicino all’albergo.
La polizia voleva scoprire dove.
Ora vi rifaccio la domanda.
Che avrei dovuto fare? Ditemi, che avrei dovuto fare?
Se la mafia uccide, ma il silenzio e l’indifferenza pure, io potevo tirarmi indietro?
In quel momento la più grande operazione antidroga dipendeva da me.
Acconsentii.
Naturalmente tenni la mia famiglia all’oscuro di tutto. Dovevano essere giorni normali. E lo furono. Con quegli uomini a tenere d'occhio qualunque movimento e conversazione dei 3 francesi. Fu dopo circa 20 giorni che vedemmo i loro volti al telegiornale mentre venivano arrestati.
Un’operazione di grandissimo livello.
Il 24 agosto 1980 la polizia aveva fatto irruzione in due raffinerie di Carini e Trabia arrestando non solo i tre francesi, ma anche il boss Gerlando Alberti, meglio conosciuto come "U Paccarè" (l'imperturbabile)
Finirono tutti nel carcere dell'Ucciardone a Palermo.
Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi.
Non proprio. Anzi, per niente.
La polizia, nell’arrestare i tre francesi e il boss Gerlando Alberti, aveva commesso un errore imperdonabile.
Tra coloro che avevano arrestato i quattro c’erano anche i poliziotti che avevano lavorato, infiltrati, nel mio albergo.
A volto scoperto.
Non ci volle molto all’Alberti per capire quale ruolo avessi avuto nell'operazione.
Lo scoprii quattro giorni dopo.
Il 28 agosto 1980, alle 15.30 circa, due giovani a viso scoperto misero fine alla mia vita.

Mi spararono nella hall del mio albergo, affollato di turisti italiani e stranieri.
Mi dispiace aver causato tanto dolore alla mia famiglia. La paura di ritorsioni, la chiusura dell’albergo, il sogno infranto delle mie figlie di poter fare l’Università, la ricerca di un lavoro per tirare avanti. Ma avevo scelto cosa fare anche per loro. Stare dalla parte giusta.
Nei giorni successivi i giornali scrissero di un mio ipotetico coinvolgimento nell'organizzazione mafiosa gettando dubbi sulla mia onestà.
Quando fu chiara la verità, i giornali si "dimenticarono" però di rettificare.
Tanto ormai la gente mi aveva già dimenticato pensarono.
Tutti si dimenticarono di me e della mia famiglia. Lo Stato prima di tutto. Eppure mi ero messo fiducioso a disposizione.
A nulla sono valse per anni suppliche e richieste da parte della mia famiglia per il conferimento della medaglia d'oro al merito civile. Mai nessuna risposta
Almeno fino al 14 marzo del 2018. Quasi 38 anni dopo. Ci sono voluti 38 anni per avere quel riconoscimento. Per la moglie Giovanna e per le figlie Liliana, Roberta e Monica anni di dolore, di tristi Natali, di cene e pranzi con un posto vuoto a tavola
Il 2 giugno 2019 a villa Pajno c’è stata la consegna della medaglia d’oro al merito civile. La moglie Giovanna non ha però potuto assistere alla consegna della medaglia.
A marzo aveva raggiunto il suo Carmelo.
Troppi 39 anni di attesa. Troppi.
Gerlando Alberti ha gestito dal 1961 e per circa 20 anni, tutto il traffico di eroina a Milano.
Condannato quale mandante dell'uccisione di Carmelo Iannì, è morto nel 2012 a 84 anni nella sua casa di Palermo, ai domiciliari.
Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati
Grazie a @debora_2006 per avermi chiesto di raccontare la storia di Carmelo Iannì, un uomo che mise al primo posto il rispetto delle regole e un forte senso civico.
Per la mafia “un esempio da non imitare”.
Per tutti noi, un vero eroe.
Ci sono voluti 38 anni per dare il giusto merito a quel posto vuoto a tavola. Ora è il momento di ricordare chi ha sacrificato la vita per far diventare questo Paese un Paese migliore.
Per non dimenticare.
Un abbraccio alle figlie Liliana, Monica e Roberta @robertaianni.
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