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30 Jun, 33 tweets, 9 min read
Il dipendente che, potendo farlo, sceglie di lavorare da remoto andrebbe incentivato dallo Stato (e la sua azienda obbligata ad acconsentire), fosse soltanto per favorire la riduzione dell'inquinamento e il decongestionamento delle metropoli.

#SmartWorking
Obbligare la gente a svolgere in ufficio mansioni che oggi si possono tranquillamente gestire da casa è uno squallido anacronismo, funzionale soltanto alle manie di controllo dell'imprenditore. Favorisce inoltre vari comportamenti tossici e abusivi basati sulla presenza fisica: >
alcuni esempi (ma ne potrei fare decine): ti entro in stanza e ti obbligo a darmi retta "perché ho qualcosa da dirti/farti fare che è molto più importante di quello che stai facendo adesso "; mi impongo "fisicamente" perché la mia posizione mi consente di alzare la voce; etc
Dare al dipendente la possibilità di gestire le relazioni da remoto favorisce una democratizzazione del rapporto di lavoro e rende possibile difendersi da varie tipologie di abusi, a patto che il "capo" non abbia voce in capitolo sulla possibilità di avvalersi di tale diritto.
Passiamo adesso al debuking di una serie di assurdità che sono state scritte sui giornali negli ultimi mesi nel patetico tentativo (promosso da Confindustria e dai suoi giornali) di demonizzare una delle più importanti conquiste degli ultimi decenni in tema di diritto del lavoro:
Cominciamo dalla fantomatica "sindrome della grotta" (una volta che provo lo Smart Working non voglio più tornare in ufficio): e allora? Non si capisce a che titolo, nel 2021, la libera scelta di stabilire dove vogliamo lavorare diventi una patologia su cui scomodare psicologi.
Non si capisce poi la ratio con cui una patologia clinica (peraltro relativamente recente e ancora in fase di studio) che colpisce l'individuo a 360 gradi viene impugnata come una clava per colpire lo smart working: tutt'al più avrebbe senso parlarne in relazione ai lockdown.
Veniamo adesso a una seconda, mastodontica fake news che in questi giorni è stata strombazzata da un paio di quotidiani nazionali: chi pensa che lo Smart Working possa aiutare a risolvere i problemi dell'inquinamento è un povero illuso, perché anche il digitale produce emissioni.
La fonte di questa miserabile bufala è un contributo di un ricercatore Unimore, che peraltro si basa su una sola fonte realmente rilevante (un Report del 2019 dei ricercatori di The Shift Project): l'abstract, in estrema sintesi, raccomanda di non >

impresaprogetto.it/sites/impresap…
> sottovalutare l'impatto che l’informazione e la comunicazione hanno sul nostro pianeta, invocando una "digital sobriety", osservando come la quota emissioni legata al digitale sia aumentata di qualche % negli ultimi 7 anni. I dati riportati, però, sono ovviamente relativi >
> al periodo 2013-2019, ovvero *prima* che lo smart working si imponesse come esigenza emergenziale a seguito del problema COVID-19 e dei conseguenti lockdown su scala mondiale: in altre parole, parliamo di un incremento che non può essere di certo imputato al pur crescente >
> impiego di sistemi per remote working, quanto semmai alla inevitabile e ben nota crescita dell'intero comparto digital a livello mondiale: crescita che, è bene ricordarlo, è in massima parte legata alle necessità delle imprese impegnate in quel business (leggi: al capitale). >
> Risulta del resto oltremodo evidente (a chiunque non abbia vissuto in una grotta negli ultimi 10 anni) come il problema del videostreaming non sia certo imputabile alle CC di lavoro bensì all'esplosione dei video-social (YouTube, TikTok, Twitch, Facebook/Instagram, etc.).
A conclusione di questa analisi, ci auguriamo che il dott. RP, nell'attesa di avere a disposizione dati più freschi e in linea con il topic che ha scelto di trattare, si dedichi a qualche contributo contro il *vero* nemico della "digital sobriety" che tanto auspica: il business.
Passiamo dunque alla bufala successiva: lo Smart Working "senza regole" (?) può essere rischioso, in quanto rende possibile una serie di abusi e attacchi informatici da parte di amici, colleghi e hacker.

In questo caso il Corriere si dà la proverbiale zappa sui piedi: >
> nel tentativo di prendersela con lo smart working va infatti a denunciare alcuni casi eclatanti di abusi compiuti dalle sue amate aziende, evidentemente colpevoli di aver implementato soluzioni "emergenziali" tutt'altro che sicure per la privacy dei propri dipendenti. >
> Su questa cosa è bene fare chiarezza: nel momento in cui un dipendente (o l'azienda stessa) subisce un data breach, la responsabilità ricade, prima ancora che sul colpevole, su chi ha omesso di applicare le misure tecniche e organizzative adeguate al rischio (art. 5 e 32 GDPR).
Un'azienda che cade (o lascia cadere i propri dipendenti) vittima di questo tipo di attacchi è un'azienda a cui non dovrebbe essere permesso di operare sul mercato, a prescindere dallo smart working, in quanto priva dei requisiti necessari per il trattamento dei dati personali.
Lo smart working, è bene chiarirlo una volta per tutte, non può essere considerato un elemento di rischio oggettivo in ambito IT Security: è semmai la sua implementazione a dover essere oggetto di una analisi dei rischi, al pari di ogni altra soluzione IT adottata dall'impresa.
+++ PUBBLICITA' PROGRESSO +++

Interrompiamo il thread con un paio di avvisi ai naviganti sui pericoli dello Smart Working: stressa la pelle e favorisce l'autoerotismo.

(su questi articoli mi limito a stendere un velo pietoso, non vale la pena spenderci più di qualche risata)
Torniamo seri smontando un altro equivoco insidioso: in questo caso la svista è particolarmente grave perché compiuta addirittura dal responsabile scientifico dell'osservatorio Smart Working, in un intervento che critica l'ipotesi di introdurre una "tassa sullo Smart Working".
Fermo restando che l'idea di una "tassa sullo smart working" non sta né in cielo né in terra (semmai dovrebbe essere il contrario, non a caso il mio OT parla di agevolazioni), l'intervento è ugualmente fuori bersaglio in quanto favorisce un equivoco che è imperativo evitare:
Lo Smart Working NON è "lavorare per obiettivi": è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti senza vincoli di orario o di luogo di lavoro; il fatto che si lavori per obiettivi è semmai una (inevitabile) conseguenza.
Al contrario, è auspicabile che i sindacati facciano il possibile per renderlo un diritto di tutti i lavoratori che svolgono un'attività dove i vincoli di orario e di luogo non hanno più senso: affermare che non deve diventare "solo" (?) un diritto è un autogoal madornale!
Del resto l'errore non deve stupire, che l'osservatorio Smart Working (e il suo direttivo) sia smaccatamente "di parte" nei confronti del datore di lavoro e della forsennata ricerca della produttività è cosa arcinota e trabocca da ogni loro intervento.

Visto che poco fa ho menzionato i sindacati è giusto spendere 2 tweet per commentare questo infelice intervento della segreteria CGIL toscana sull'urgente necessità di garantire un "diritto al rientro", ipotizzando chissà quante aziende che imporranno lo SW ai propri dipendenti.
Si tratta ovviamente di una bufala, o meglio dell'ennesima dimostrazione di inutilità della CGIL in tema di battaglie sindacali: il diritto al rientro è già garantito dal semplice fatto che lo SW è un accordo individuale (cfr. legge 81/2017) e non può quindi essere imposto: fine.
Veniamo dunque a una delle fake news più belle degli ultimi mesi, un vero e proprio capolavoro offerto da uno dei giornali più cari al capitale: La Stampa.

Il giornalista qui non ha alcun dubbio: lo SW ha i giorni contati perché uccide la creatività. Lo sanno tutti, è risaputo.
Ora, sorvolando sulla dirompente comicità involontaria della cifra stilistica utilizzata (leggi "le migliori aziende" e la mente vola subito al "governo dei migliori")... Cosa accidenti significa quello che c'è scritto? Da dove cominciare a commentare questo oceano di assurdità?
Il senso del lavoro agile è proprio quello di conciliare le esigenze temporali lavorative con le necessità personali e familiari, tra cui anche la cura di figli, animali, etc: l'articolo riduce queste esigenze a scomode seccature da cui è utile, possibile, desiderabile fuggire.
Non parliamo poi della parte sulla presunta "distruzione della creatività", argomentazione a dir poco opinabile e pur tuttavia buttata lì con toni apodittici, ovviamente senza il benché minimo straccio di fonti, dati, studi o ricerche. Un pezzo che lascia davvero a bocca aperta.
Per il momento mi fermo qui: appena possibile continuerò la rassegna stampa (qui o in altri thread).

Un grazie particolare a @bioccolo e alla sua "collezione di capolavori" per aver reso possibile il thread :)
Aggiungo questa perla fresca di giornata: lo SW rischia di rendere più facile la delocalizzazione, mettendo in concorrenza tutti i lavoratori del globo terracqueo.

Non si comprende come la mancata introduzione del diritto allo SW possa impedire alle aziende di farlo ugualmente.

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23 Jun
Non comprendo l'insofferenza di molti per le critiche sulla recente uscita del Vaticano sul #DDLZan: il fatto che siano dei bigotti conclamati e che le loro posizioni sul tema siano note non rende meno odioso e criticabile il molesto tentativo di influenzare la politica italiana.
Posso senz'altro concordare sul fatto che il problema di fondo sia nelle dichiarazioni dei nostri politici di "sinistra" (ascoltiamo il Vaticano etc.) e nella posizione di sudditanza dello Stato nei confronti di una religione così invasiva, ma questo non sconta nulla alla Chiesa.
Ricordiamoci sempre che abbiamo di fronte un'istituzione particolarmente molesta, che negli ultimi decenni (soprattutto con Bergoglio) sta cercando disperatamente di rifarsi una verginità, forte di un marketing oltremodo spinto sui temi umanitari e sociali: ben vengano dunque >
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21 Oct 20
Scrivo questo thread per descrivere una situazione piuttosto incresciosa che si sta verificando nell'asilo di mio figlio, nella speranza che non vi succeda una cosa simile e/o che, se vi succeda, possa esservi utile per valutare il da farsi.

#COVID19 #COVID_19 #COVIDー19

/1
Per farla breve, la sett. scorsa abbiamo avuto un caso di maestra positiva che ha trasmesso l'infezione ad alcuni bambini. Come probabilmente sapete, all'asilo gli alunni non portano la mascherina né sono in grado di comprendere o rispettare le norme di distanziamento. /2
Il problema è che la maestra in questione, pur essendo assegnata a una classe ben precisa, ha dovuto svolgere varie attività di supplenza in altre classi per coprire l'assenza di altre maestre, assenti per vari motivi (non legati al COVID19). Come se non bastasse, /3
Read 16 tweets
9 Oct 20
BREAKING NEWS: Sembra che oggi alcune banche italiane (tra cui Intesa San Paolo) abbiano messo a pagamento il servizio OTP via SMS, ovvero il messaggio che ti manda il codice per accedere al conto. Risultato: decine di migliaia di utenti non possono più accedere.

(thread)
La cosa è capitata a un'azienda per cui lavoro, che gestisce presso la banca in questione numerosi conti (amministrati anche per conto di clienti) ai quali di punto in bianco non può più accedere in alcun modo. Anche i bonifici, che al momento necessitano di conferma SMS OTP, /2
risultano bloccati, così come tutte le operazioni principali. La cosa divertente è che gli operatori telefonici non sembrano riuscire a risolvere la cosa, in quanto persino abilitando la funzionalità "SMS a pagamento" sui numeri in questione i messaggi non vengono recapitati. /3
Read 10 tweets
19 Sep 20
Prendo atto che la PA, nell'ottica di una digitalizzazione compiuta a vantaggio dell'impresa privata e non del cittadino, ha deciso di accettare solo pagamenti elettronici tramite CBill o bollettino PagoPA senza curarsi di negoziare condizioni sensate con i merchant.

(thread)
In conseguenza di questa decisione il contribuente non può più pagare utilizzando gli "storici" bollettini postali o MAV a zero commissioni ed è costretto a scegliere tra:

A) aprirsi un conto presso PosteItaliane, con tutto ciò che ne consegue (spoiler: non è una bella cosa); /2
B) pagare costi di commissione (dell'ordine di 1 EUR o più) per ogni singola transazione verso la PA utilizzando il circuito PagoPA o le scarse e ridicole convenzioni ridicole CBILL ad oggi "negoziate" (es. Fineco, commissioni fisse pari a 1.95 EUR). /3
Read 7 tweets
7 Sep 20
La Azzolina non penso abbia voce in capitolo, ma sarebbe bello auspicare università statali in cui i rettori impongano il pieno rispetto del codice etico a tutto il corpo docente.

Si dà il caso che la Unimol ne abbia uno: diamogli un'occhiata e vediamo cosa dice.

(thread)
L'articolo 1 è già particolarmente illuminante, visto che parla del rispetto della dignità umana e del rifiuto di ogni forma di discriminazione, descritti come "doveri fondamentali" dei singoli appartenenti della comunità accademica. /2
Il concetto viene ulteriormente ribadito qualche riga dopo, in cui si chiarisce come l’Ateneo riconosca tra le sue principali finalità la promozione della riflessione, la formazione e la discussione pubblica finalizzata allo sviluppo di una "elevata sensibilità etica". /3
Read 9 tweets
2 Sep 20
Questa ricerca dovrebbe far capire 2 cose: il livello di arretratezza delle PMI italiane dal punto di vista della cultura aziendale e la tragica impossibilità dei dipendenti di poter negoziare condizioni di lavoro più sicure neppure in un contesto emergenziale di pandemia. /1
Curiosamente, questi numeri vengono utilizzati a sostegno di una tesi opposta (e a mio avviso errata), formulata dallo stesso autore circa 1m prima, in cui parlava di "consolidata reciprocità di interessi che accomuna datori di lavoro e collaboratori".
ilsole24ore.com/art/troppi-pre…

/2
Sorvolando su quel "piuttosto che" disgiuntivo avanzo la proposta di ripetere oggi quella ricerca indipendente effettuata ad aprile, così da vedere se questa "reciprocità di interessi" è ancora certificabile sul campo e se i lavoratori si sentono ancora "come a casa". /3
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