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È la sera del 3 Dicembre 1967 quando, a Città del Capo, un incidente d'auto cambia la storia della medicina e dell’umanità.
Nello scontro perde la vita la signora Myrtle Ann Darvall e sua figlia Denise, 25 anni, riporta gravissime ferite.
La ragazza è in coma depassé.
->
Denise Darvall è morta cerebralmente: mancano i segni di attività nervosa, non c’è risposta a stimoli esterni, la respirazione è possibile solo con le macchine.
Ma il suo cuore batte ancora.
È quel cuore, che interessa a Christiaan Neethling Barnard, chirurgo di 45 anni.
Barnard vuole tentare qualcosa di mai osato: impiantarlo in un altro essere umano.
"Trapiantarlo".
Gli studi sono in corso da tempo, l'intervento è considerato tecnicamente possibile, ma mancano troppe certezze sull'esito. Senza contare il dilemma etico...
La morte cerebrale, nel 1967, non è stata ancora codificata con criteri medici e legali: un cuore in grado di battere (anche se mantenuto attivo con le macchine) è da molti considerato pieno indizio di vita.
Ma per Barnard: “Un individuo è il suo cervello, non il suo cuore”.
In queste sera di Dicembre, quando viene ricoverata Denise Darvall, Barnard capisce che il momento di provare è arrivato, che può essere il primo.
Non avvisa il direttore dell’ospedale di Groote-Schuur di Città del Capo dove lavora, decidendo di informarlo a cose fatte.
Il medico ottiene dal padre di Denise l’autorizzazione all’espianto del cuore per tentare di impiantarlo a Louis Washkansky, droghiere in condizioni gravissime, già vittima di 3 infarti, che ha reni e fegato pressoché fuori uso.
Alle 00.50 del 3 dicembre 1967 in due stanze attigue vengono messi Denise Darvall e Louis Washkansky.
Barnard prepara l’uomo, poi, alle 2.20, chiede a suo fratello Marius, anche lui chirurgo, di staccare le macchine che tengono in vita Denise.
Il cuore, dopo 12 minuti, si ferma.
Barnard estrae il cuore della ragazza e lo porta nella sala operatoria in cui si trova Washkansky, cui asporta la parte inferiore di cuore, per sostituirla con quella di Denise.
Lavora sull’uomo per oltre 3 ore con un’equipe di 30 persone.
“Cristo, funzionerà” dice alla fine.
Alle 5.52 Barnard imprime con il defibrillatore il primo battito al nuovo cuore di Washkansky.
Dopo 2 giorni il droghiere si mette a sedere e parla.
Dopo 12 giorni si alza in piedi, ma inizia a stare male, per una polmonite.
Qui Barnard e la sua equipe commettono un errore: convinti che si tratti di una forma rigetto non somministrano i necessari antibiotici e Washkansky peggiora rapidamente, morendo.
Ma la strada aperta e Barnard insiste a percorrerla.
Solo un mese dopo, il 2 gennaio, ci riprova con un dentista di 59 anni cui trapianta il cuore di un uomo nero, destando scalpore in un paese di apartheid. Il dentista riesce a vivere un anno e mezzo con tanto di foto al mare, nuotando.
Per anni i trapianti hanno elevata mortalità nei riceventi e non garantiscono lunghe aspettative di vita, mancando farmaci adatti a evitare il rigetto.
Dei primi 10 pazienti trapiantati da Barnard, 4 non superano l’anno di vita, 4 vivono più di un anno, uno per 13, uno per 23.
Gli interventi hanno, però, un effetto etico decisivo spingendo la medicina a elaborare l’innovativo concetto di morte cerebrale e codificarne le caratteristiche.
E l'utilizzo della ciclosporina riuscirà nel tempo a limitare il rigetto.
Dopo l’intervento Barnard diventa una celebrità.
“Il sabato ero un medico del Sudafrica ben poco noto. Il Lunedì ero conosciuto in tutto il mondo”.
Incontra il presidente USA e il Papa, vive tra viaggi, conferenze, fama, libri best seller, 3 matrimoni e 6 figli.
Nel 1983 smette di operare.
Prima di morire a Cipro per un attacco di asma, si lancia in pionieristiche ricerche sull’età e le possibili cure dell’invecchiamento. Spregiudicato sino alla fine, si imbarca in percorsi discutibili che ne minano la credibilità.
Ma resta innegabile l’impatto sulla storia umana di un medico che ha affrontato per primo l’ignoto, che ha osato l'intentato per ridisegnare il confine tra la vita e la morte.
O forse, ancora di più, tra la non-vita e la non-morte.
“La vita è proprio strana. Ti mette in mano carte che puoi leggere solo dopo averle giocate. O solo dopo che altri le giocano per te”. (C. Barnard)
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