Spesso, tra Firenze e Assisi, venivo fermato per un controllo, ma ero un personaggio molto famoso e tutti alla fine si risolveva con una chiacchierata.
E non potevo certo fuggire.
A casa c’era mia moglie Adriana e il piccolo figlio Andrea. Non potevo fare altro che presentarmi puntuale.
Villa Triste. Luogo di tortura.
Avevo paura.
E mi chiedevo...
Che si tramutò in paura folle quando mi portarono nelle cantine per interrogarmi. C’erano bastoni e altri strumenti di tortura.
Se aggiungete che in quel periodo la vita delle persone per i fascisti valeva meno che niente, potete capire il mio stato d’animo.
In quel momento capii che la mia vita era nelle sua mani. Appesa a un filo.
Fu in quel momento che vidi sul tavolo quelle lettere.
Lettere che provenivano dal Vaticano, indirizzate a me.
Rabbrividii.
“Ma via, ma se nemmeno so sparare" risposi.
"E allora ha portato altro. Lo confessi!"
“Quelle lettere si riferiscono alla farina, allo zucchero, al caffè che ho mandato alle persone bisognose. Non ho inviato armi. Quando ero militare avevo persino la pistola scarica".
Ci restai due giorni. Al terzo fui riportato nelle cantine per un ulteriore interrogatorio. C’erano altri tre militari con lui.
“Cosa ha fatto per il Vaticano? Portava armi?”
E io la stessa risposta. “Caffè, farina e zucchero"
Mentre Carità urlava, uno dei tre militari disse: "Se lui ha detto caffè, farina e zucchero è proprio caffè, farina e zucchero. Lui non mente…"
Quando arrivavano su un treno ebrei da Assisi, io mi precipitavo alla stazione.
Mi conoscevano tutti e il caos che si generava obbligava i fascisti e i tedeschi a controlli meno serrati. E gli ebrei riuscivano a passare.
Lui, il “Ginettaccio”, che nel settembre del 2013 è stato riconosciuto come "Giusto tra le Nazioni".