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All'anagrafe il suo nome esteso era Mario Carità del fu Gesù. Era un trovatello e forse per quello gli misero quel nome.
Quando però lo incontrai di “carità” e “del fu Gesù” non era rimasto più niente.
Lui era a capo di un manipolo di squadristi denominato "Reparto di servizi speciali".
Un reparto conosciuto da tutti come “la Banda Carità”, specializzata, dopo l’8 settembre 1943 a Firenze, in rastrellamenti, torture e uccisioni di partigiani.
Durante la guerra le competizioni erano state sospese, ma io non perdevo occasione di allenarmi ogni giorno.
Spesso, tra Firenze e Assisi, venivo fermato per un controllo, ma ero un personaggio molto famoso e tutti alla fine si risolveva con una chiacchierata.
Ma quel giorno di luglio del 1944 Mario Carità mi convocò a Ville Triste.
E non potevo certo fuggire.
A casa c’era mia moglie Adriana e il piccolo figlio Andrea. Non potevo fare altro che presentarmi puntuale.
Villa Triste. Luogo di tortura.
Avevo paura.
E mi chiedevo...
Qualcuno aveva forse fatto la spia riferendo dei miei continui viaggi ad Assisi in bicicletta per recapitare clandestinamente centinaia di documenti falsi, necessari ai cittadini italiani di religione ebraica per scampare ai campi di concentramento?
Oppure erano venuti a sapere della famiglia Goldenberg, quattro componenti, tutti ebrei, che nascondevo nella cantina nella mia casa di Firenze, in via del Bandino 45, in prossimità della strada che porta a Piazzale Michelangelo?
Paura.
Che si tramutò in paura folle quando mi portarono nelle cantine per interrogarmi. C’erano bastoni e altri strumenti di tortura.
Se aggiungete che in quel periodo la vita delle persone per i fascisti valeva meno che niente, potete capire il mio stato d’animo.
Mario Carità si parò di fronte a me.
In quel momento capii che la mia vita era nelle sua mani. Appesa a un filo.
Fu in quel momento che vidi sul tavolo quelle lettere.
Lettere che provenivano dal Vaticano, indirizzate a me.
Rabbrividii.
“In queste lettere il Vaticano la ringrazia per il suo aiuto” mi disse Carità. “Di che aiuto si tratta. Lei ha mandato armi al Vaticano?"

“Ma via, ma se nemmeno so sparare" risposi.
"E allora ha portato altro. Lo confessi!"
Replicai.
“Quelle lettere si riferiscono alla farina, allo zucchero, al caffè che ho mandato alle persone bisognose. Non ho inviato armi. Quando ero militare avevo persino la pistola scarica".
Non lo convinsi. Fu per questo che mi fece sbattere in cella. Per schiarirmi le idee, disse.
Ci restai due giorni. Al terzo fui riportato nelle cantine per un ulteriore interrogatorio. C’erano altri tre militari con lui.
Mi rifece la stessa domanda.
“Cosa ha fatto per il Vaticano? Portava armi?”
E io la stessa risposta. “Caffè, farina e zucchero"
Mentre Carità urlava, uno dei tre militari disse: "Se lui ha detto caffè, farina e zucchero è proprio caffè, farina e zucchero. Lui non mente…"
Fu solo allora che lo riconobbi. Era Olesindo Salmi, mio supervisore militare al lago Trasimeno. Era stati lui ad autorizzarmi ad utilizzare la bicicletta invece della moto per portare gli ordini.
Si era esposto. Ma quello fu la mia salvezza. Anche perché Mario Carità aveva ben altri problemi. E che problemi. Gli americani si stavano avvicinando a Firenze.

E così mi lasciò andare. Uscii da Villa Triste sollevato.
E soddisfatto di averlo fregato.
Mario Carità intendo.
Sì, perché il Vaticano, con quelle lettere, mi ringraziava proprio per la mia attività di portare e nascondere fotografie e altre carte per fabbricare documenti per gli ebrei.
Era stato il Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa a chiedermelo.
Era stato lui a celebrare il mio matrimonio, e aveva pensato a me, Gino Bartali.
Solo la mia fama mi avrebbe permesso di superare i controlli.
E così era stato.
Non facevo solo quello.
Quando arrivavano su un treno ebrei da Assisi, io mi precipitavo alla stazione.
Mi conoscevano tutti e il caos che si generava obbligava i fascisti e i tedeschi a controlli meno serrati. E gli ebrei riuscivano a passare.
Quanti ebrei ho salvato? Circa 800.

Non rivelai mai niente di quello che facevo a mia moglie. Per proteggere lei e mio figlio.
Ma anche dopo la guerra.
Perché in fondo: “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca".
Questa e altre storie la potete trovare in questo libro bellissimo di Riccardo Gazzaniga.
Grazie a @jacopogiliberto per avermi ricordato un lato poco conosciuto della vita di Gino Bartali.
Lui, il “Ginettaccio”, che nel settembre del 2013 è stato riconosciuto come "Giusto tra le Nazioni".
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