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Agitata a mo' di oggetto contundente, sventolata a riprova della solo presunta bontà delle tesi filorusse dai putiniani nostrani, alla meglio bellamente ignorata. È l'ingrato destino riservato all'intervista fiume rilasciata dall'ex primo ministro di Israele, Naftali #Bennett
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, allo youtuber Hanoch Daum.
Era evidentemente troppo "sorbirsi" non dico le quasi 5 ore di filmato, ma almeno i 45 minuti dedicati ai retroscena della guerra in #Ucraina. Precisazione d'obbligo, visto che la maggior parte dei media italiani si è limitata a fare ciò che
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spesso fa quando si tratta di politica estera: aspettare che un quotidiano italiano pubblichi uno stralcio del pezzo originale e rilanciarlo senza verificare alla fonte il contenuto dell'intervista.
Peccato. Sì, peccato. Perché quella di Bennett è non solo un'importante
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testimonianza di un protagonista (e come tale va raccontata), ma anche la prospettiva di chi - in quanto Stato Ebraico - si definisce "terzo" (dunque non di parte) rispetto alla contesa.
E allora, cos'ha detto Bennett (veramente, e per intero)?
Naftali Bennett racconta di
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avere stretto un rapporto con Vladimir #Putin due mesi prima dell'inizio dell'invasione, nel corso di un viaggio nella sua tenuta sul Mar Nero in quel di Sochi. Quella visita la racconta così: "L'incontro è durato circa 5 o 6 ore. Abbiamo discusso di molte questioni, (...)
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incluso la storia militare e il ruolo dell'Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale. A Putin piaceva il fatto che io dicessi la verità, che la forza principale che ha sconfitto i nazisti, senza dubbio, è stata l'Unione Sovietica, l'Armata Rossa".
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L'intervistatore chiede a Bennett se abbia usato questo argomento nel tentativo di compiacere Putin, ma l'israeliano nega con forza: "L'ho detto perché è storicamente vero. Non sapevo molto sul suo conto. Ho letto un libro su di lui in vista del meeting. Ma certamente
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conoscevo il significato della Seconda Guerra Mondiale, loro la chiamano la Grande Guerra Patriottica. È al centro dell'ethos russo, specialmente per Putin. (…) Non amano ricordare che all'inizio della guerra firmarono un patto col diavolo, il Molotov-Ribbentrop, e che
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insieme hanno invaso la Polonia. Ma questa storia era un argomento per un'altra occasione".
Durante quella giornata trascorsa insieme, Putin invita Bennett a camminare lungo la riva del Mar Nero, rimarca al proprio ospite, perché sia chiara, l'eccezionalità di quella visita
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così privata. Ma l'idillio si spezza quando l'israeliano, dopo 5 ore e mezza di conversazione, dice a Putin della telefonata avuta due giorni prima con Volodymyr #Zelensky: "Gli ho detto: 'Ah, mi ha chiesto Zelensky se puoi incontrarlo'. Fino a quel momento era stato la
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persona più gentile del mondo, poi il suo sguardo si è fatto gelido". Putin si irrigidisce: "Loro sono dei nazisti, dei guerrafondai, non lo incontrerò", dice a Bennett che, sorpreso dal suo cambio di atteggiamento, ammette di non stracciarsi le vesti: "Non conoscevo così
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bene la mappa, l'Ucraina, non era l'argomento principale per me".
Quell'incontro pone le basi affinché tra Putin e Bennett si saldi un legame di fiducia. Il presidente russo, racconta l'ex primo ministro israeliano, "ascolta di mia moglie chef, il fatto che prima fosse una
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ballerina, ci invita a San Pietroburgo". Insomma, si crea un rapporto.
Le settimane però corrono veloci, e la situazione precipita: "Non ricordo se ero in Bahrein o negli Emirati: e gli americani mi hanno detto che la guerra era imminente. Quello su cui ero concentrato era
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evacuare gli israeliani dall'Ucraina al più presto. Ti dirò una cosa, in generale: quando si parla di mondo, di politica estera e di tutto il resto, la mia attenzione è rivolta agli interessi di Israele. Può essere una visione limitata, ma il mio focus principale è la mia
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gente", ammette Bennett con un certo orgoglio.
Da qui in avanti è un susseguirsi di retroscena. Bennett ricorda: "Si iniziava a sentire che Zelensky era finito, che stava cercando rifugio negli Stati Uniti. Ho iniziato a studiare la questione. Quando emerge un tema voglio
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capire quale potrebbe essere la strategia di entrambe le parti. Scoppia la guerra, e mi trovo tra l'incudine e il martello. Gli americani chiaramente si aspettavano che tutti noi ci schierassimo per l'Ucraina. D'altra parte io avevo due interessi confliggenti: il primo è la
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nostra attività di routine in Siria. Una o due volte a settimana attacchiamo la presenza iraniana in Siria, e la Russia ha gli S-300 lì: se preme il pulsante i piloti israeliani muoiono. Chi li salverà? Così, tutti quei discorsi sull'essere dalla parte giusta della storia,
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li capisco, ma io ho una necessità nazionale. Secondo: ci sono molti ebrei in Ucraina e in Russia. E come primo ministro dello Stato Ebraico io ho una responsabilità. Dunque, che fare? Ho escogitato una strategia: quando vengo pressato dalle due parti io scelgo la terza via.
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E la terza via era in questo caso creare un contatto con le due parti e provare a mediare".
Bennett assume dunque le vesti di mediatore, l'aspettativa a livello internazionale è enorme, il mondo guarda alla sua missione con speranza: "Sapevo che la fiducia che avevo creato
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con Putin era un bene raro", ricorda. "L'America non sapeva come riuscire a comunicare in quella fase, né sa come farlo oggi. Non penso ci fosse qualcuno che aveva la fiducia di entrambe le parti, forse Erdogan, fino ad un certo punto. Questa è una cosa. La seconda cosa è
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che ho fissato una regola: tanti aiuti umanitari, ma non la fornitura di armi. Ho informato Putin di qualsiasi cosa abbia fatto. Gli dicevo: 'Sto allestendo un ospedale da campo a Leopoli. Voglio solo che tu lo sappia'. E lui mi diceva: 'Se mi dai la tua parola che non sarà
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un posto per nascondere armi o soldati, che non sarà utilizzato per scopi militari, allora non c'è problema. Dimmi solo dov'è così mi garantirò che non venga bombardato'. Sapevo che se non fossi entrato in azione ad un certo punto avrei dovuto rifornire di armi l'Ucraina e
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avrei messo in pericolo gli ebrei. Così ho chiamato Blinken, #Biden, Sullivan e gli ho detto: "Putin mi ascolta, posso essere un canale di collegamento".
Ad avallare la sua missione diplomatica è, a detta dello stesso ex primo ministro israeliano, proprio Volodymyr Zelensky:
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"Mi ha chiamato e mi ha chiesto di contattare Putin. Era in difficoltà. Sapeva che aveva i giorni contati, che lo avrebbero ucciso. Non era difficile ucciderlo. Quindi Zelensky mi chiama e mi chiede: 'Puoi aiutarmi?'. In quel momento ero all'incontro con #Scholz, il
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cancelliere che ha sostituito Angela Merkel. Sono entrambi eccellenti e molto diversi. Scholz è un uomo di poche parole. Non che Angela parli molto, ma lui…Così abbiamo questo primo incontro e lui era molto stressato, perché c'era il problema del gas, temeva per l'energia
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tedesca e le sue ramificazioni".
Bennett ricorda le tante richieste dei russi: "Una era la denazificazione, ovvero sostituire il presidente ucraino. E ritengo che il mondo abbia interpretato questo come: uccidere Zelensky. Poi c'era la richiesta di disarmo: svuotare
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l'Ucraina di tutte le armi e azzerare l'esercito. C'erano 5 o 6 richieste all'inizio". Le discussioni però proseguono e Bennett si sente dire da Putin: "Possiamo raggiungere un cessate il fuoco". A questo punto i colloqui telefonici proseguono: "Vengono scambiate le bozze,
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non solo tra di noi, ma direttamente. Ucraini e russi erano in Bielorussia, in una città chiamata Homel', c'erano due squadre di negoziatori, che il mondo guardava con indifferenza, ma io pensavo fosse una buona cosa che parlassero. Io cercavo di trovare una soluzione: sono
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molto abile nei negoziati, grazie alla mia vita da imprenditore e politica e sono in grado di stipulare accordi. Ogni cosa che ho fatto era pienamente coordinata con Biden, con Macron, con Boris Johnson, con Scholz, e ovviamente con Zelensky".
E qui arriva uno dei passaggi
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più controversi dell'intervista. Dall'incontro con Putin, infatti, Bennett dice di aver ottenuto "due grandi concessioni, che sono ovvie adesso ma non lo erano in quel momento. Putin rinunciò alla denazificazione, ovvero ad uccidere Zelensky. La vita di un leader ha un
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inestimabile valore. Sapevo che Zelensky era sotto minaccia, era in un bunker segreto. Dopo 3 o 4 ore dell'incontro, gli dissi: 'Ucciderai Zelensky?'. Putin mi rispose: 'No, non ucciderò Zelensky'. Io allora gli dissi: 'Devo capire che stai dando la tua parola che non
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ucciderai Zelensky?'. E lui: 'Non ucciderò Zelensky'. Dopo l'incontro, in macchina, dal Cremlino all'aeroporto, contattai Zelensky tramite Whatsapp o Telegram. Gli dissi: 'Sono uscito da un incontro, lui non ti ucciderà'. Lui domandò: 'Sei sicuro?'. E io: 'Al 100%, non ti
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ucciderà'. Due ore dopo Zelensky andò nel suo ufficio e si filmò col suo cellulare dicendo: 'Non ho paura'".
Vero? Falso? È la versione di Bennett, che in alcun modo diminuisce le responsabilità di Putin in questa guerra. Ma il racconto continua: "Ad ogni modo, quella era
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una concessione. L'altra era che lui rinunciava al disarmo dell'Ucraina. Anche Zelensky fece una grande concessione quel sabato. Mi pare fosse il secondo sabato da quando la guerra era scoppiata e Zelensky rinunciò ad aderire alla NATO. Disse: 'Ci rinuncio'. Erano enormi
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passi da entrambi i lati. Enormi concessioni. Dunque cosa restava?".
Già, cosa restava? E perché l'accordo è saltato? Ed è stato un bene o un male che ciò sia avvenuto?

dangelodario.it/2023/02/06/ret…

Ne parlo in questo articolo, a disposizione degli iscritti.
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