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Johannes Bückler @JohannesBuckler
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In principio erano l’Iri e l’Eni. Poi un bel giorno qualcuno pensò bene di riunire le attività manufatturiere delle Partecipazioni Statali. E così nacque l’Efim (”Ente autonomo di gestione per le partecipazioni del Fondo di finanziamento dell'industria meccanica)
La nascita non fu indolore. Fu Ugo La Malfa, presidente della Commissione Bilancio, ad opporsi in tutti i modi alla costituzione di un nuovo ente delle partecipazioni statali che nasceva dalle ceneri del Fim (Fondo per l’industria meccanica). Inutilmente
E così dopo l'Iri e l’Eni fu creato un nuovo ente pubblico. Grande sponsor Pietro Sette, primo presidente. E l’Efim cominciò ad ingrandirsi assumendo partecipazioni e raccattando pezzi dell'industria pubblica e privata che nessuno voleva.
Raccattava di tutto, non solo aziende meccaniche. Cartiere, aziende che producevano gomma, aziende cantieristiche, anche un’impresa dedita allo sminamento. Tutto andava bene. L’Iri non voleva più occuparsi di ferrovie? Sai cosa ti dico? Prenditela tu la Breda Ferrovia.
Così accadde nel 1968. E l’alluminio della Montedison? Dai, beccati anche questa. Corrado non aveva soldi per mandare avanti l’Augusta? Dai, prenditi anche questa. E di azienda in azienda l’Efim venne soprannominato “ente spazzatura
L’Efim era vorace, inghiottiva tutto. Ma. cominciarono i problemi finanziari. Un esempio. Nel settore alimentare le perdite erano di 416 milioni nel 1973, 558 milioni nel ’74, 10,5 miliardi nel ’75, 50 miliardi nel ’76.
Fatturato mai sopra i 100 miliardi
Agli inizi degli anni novanta l'EFIM era un gruppo disomogeneo costituito da più di 100 aziende e con più di 30 000 dipendenti. Alla fine degli anni ’90 fu eletto presidente Gaetano Mancini, (PSI). Obiettivo? Ridurre l’esposizione finanziaria
Alla fine del 1989 fatturato e debiti si equivalevano (circa 5.000 miliardi di lire) Alla fine degli anni novanta l’indebitamento superava i 6.700 miliardi di lire. Ma Mancini fallì. Causa crisi alluminio i conti peggiorarono. Cominciò così la lenta agonia.
Nel 1992 l’Efim aveva un fatturato di 5.000 miliardi di lire e un indebitamento di 8.500 miliardi di lire. L’esposizione verso le banche pose il governo di fronte alla necessità di mettere l’ente in liquidazione.
Finita così? Magari. La messa in liquidazione provocò contenziosi internazionali. L’Efim aveva 4.000 miliardi di esposizione verso le banche italiane, 3mila 500 miliardi di lire verso banche estere. Mille miliardi di obbligazioni sul mercato, mille miliardi da dare ai fornitori.
Cosa fecero? Congelarono i debiti verso le banche. La credibilità dello Stato andò a pu…ane, e le agenzie di rating brutte e cattive declassarono i nostri titoli di stato.
Finalmente, con la Legge finanziaria del 2007. si scrisse la parola fine su un "ente spazzatura".
Quanto ci costò la liquidazione dell’ente? Dopo 11 anni e 1547 cause? esattamente 6 miliardi 708 milioni di euro. Ma Tremonti disse che c’era una buona notizia. Ai contribuenti sarebbe costato meno dei circa 7 miliardi.
Più o meno 5 miliardi di euro.
Prosit.
Dopo questo thread alcune reazioni sono state del tipo"Allora la Telecom?" Sgombriamo subito il campo. Il disastro della Telecom è sotto gli occhi di tutti. Non sono un fanatico delle privatizzazioni. In un'era come questa preferirei una compagnia Tlc pubblica,per esempio
Ma è giusto ricordare che dalla privatizzazione Telecom lo Stato incassò 26.000 miliardi di lire. A cosa servirono quei soldi? La maggior parte per i debiti dell’Iri, 1.300 miliardi per aiutare Finmeccanica, 2.000 miliardi per ricapitalizzare Alitalia.
La privatizzazione Telecom fu un disastro fin dall'inizio. Li dovevate sentire i politici. Dal Pds che voleva anche il Tesoro nella scelta degli amministratori, a Marini, arrabbiato perchè avevano licenziato i suoi amici.
E D'alema che si lamentava che un monopolio pubblico diventasse una rendita privata? Ma chi lo aveva permesso? Chi se n'era infischiato della Commissione Europea e dei suoi rilievi? E il Parlamento aveva istituito pure un'Autorità di controllo del mercato. Che nessuno ascoltò.
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