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Alla San José State University c’è una scultura che raffigura la premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi del Messico 1968.
Ci sono Tommie Smith e John Carlos e il loro pugno guantato al cielo in segno di protesta per le condizioni degli afroamericani negli Stati Uniti.
Quella la statua.
Questa foto invece ha catturato l’attimo esatto rappresentato nella statua. Notate qualcosa di diverso?
Guardate bene. Va beh, ve lo dico io.
Nella statua manca una persona, il secondo classificato.
Manco io, Peter Norman, velocista australiano.
Lo so.
E’ una fotografia che avete visto mille volte.
E so anche che ogni volta vi siete concentrati sui due uomini neri.
Non vi siete mai chiesti chi fosse quell’uomo bianco immobile sul secondo gradino.
Ero io.
E vi assicuro che non ero lì per caso.
Dopo aver fatto 20.22 in semifinale, John Carlos si chiese da dove fossi sbucato.
Ero piccolo (1,78) rispetto a loro che superavano il metro e novanta. Eppure riuscivo a correre come loro.
Finii addirittura secondo con un fantastico 20.06 dietro il 19.83 di Tommie Smith.
E su quel podio la protesta di Smith e Carlos e la loro battaglia per i diritti umani.
I loro diritti umani.
Uscendo dal tunnel per la premiazione i due mi chiesero:”Tu credi nei diritti umani?”.
Risposi di sì. Ed era vero. Li conoscevo benissimo.
Non altrettanto il mondo.
Venivo dall’Australia dove i coloni bianchi avevano decimato il 90% degli aborigeni. Avvelenando l’acqua e portando malattie come la varicella, vaiolo, influenza.
E poi nel 1937 “Generazioni rubate”, per cancellarne il patrimonio culturale e genetico
Oltre centomila bambini, molti sotto i cinque anni, erano stati sottratti di forza alle famiglie aborigene e affidati a famiglie bianche, per cancellarne il passato e riprogrammarli come “veri” australiani.
Bambini separati dai genitori, dai fratelli e dalle sorelle.
Naturalmente quei bambini finivano a vivere in misera, sfruttati, senza nessuna istruzione scolastica.
Cresciuti, molti finivano in depressione, altri nell’abuso di alcol e droghe.
E la cosa stava continuando anche nel 1968.
Ma erano iniziate le prime proteste. E io con loro.
Quando entrammo per la premiazione, sul petto degli americani all’altezza del cuore, avevano le spillette bianche del Progetto Olimpico per i Diritti Umani.
Me ne feci dare una, anche se il mio allenatore mi aveva raccomandato di stare lontano da certe cose.
Il seguito lo conoscete.
Smith e Carlos furono sospesi dal team statunitense e cacciati dal villaggio olimpico.
Tornati a casa le cose per loro non andarono meglio, con pesantissime ripercussioni e minacce di morte.
A me non andò meglio. Anzi.
Anche se nessuno lo ricorda.
Quattro anni dopo Messico 1968, in occasione delle Olimpiadi di Monaco, ebbi la più grande delusione e lasciai l’atletica.
Ero il miglior velocista.
Avevo corso 13 volte sotto il tempo di qualificazione dei 200 metri e per 5 sotto quello dei 100.
Non fui nemmeno convocato.
Venni trattato, insieme alla mia famiglia, come un traditore. Nessuno mi diede un lavoro.

Amavo correre e rischiai di perdere una gamba dopo un infortunio. Cancrena, dissero i dottori.
E da lì antidolorifici, depressione e alcolismo
Sono morto improvvisamente per un attacco cardiaco nel 2006. Senza nessun riconoscimento dal mio Paese.

E' stato molto bello vedere Tommie Smith e John Carlos portare la mia bara sulle spalle, salutandomi come un vero eroe.
Nel 2012 il Parlamento Australiano si è scusato per come ero stato trattato. Che teneri.
Un perdono tardivo.
Di più. Inutile.
Perché nei primi sei mesi del 2019, 35 indigeni australiani si sono suicidati, tre avevano appena 12 anni.
In Australia c’è oggi la più tragica “epidemia” di suicidi nelle comunità aborigene per razzismo, sfratti e povertà.
Insomma non è cambiato niente da allora. Dal 2008 a oggi il numero di bambini aborigeni “in cura”, sottratti alle famiglie di origine è aumentato del 65%.
Nelle scuole solo bullismo.
Nel 2015 una ragazzina aborigena di 10 anni si è tolta la vita per i continui soprusi a scuola.
E’ questo che mi fa più rabbia.
Siamo ancora al punto di partenza.
I diritti umani ancora calpestati in molte parti del mondo.
E all’orizzonte non si vedono più nemmeno eroi.
Come Tommie Smith e John Carlos.
Come il sottoscritto, Peter Norman, l'eroe invisibile.
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