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A cosa sto pensando? In attesa della gara dei quarti di finale della mia gara olimpica sui 1000 m. dello short track ripenso alla mia carriera, a quello che è stato e a quello che avrebbe potuto essere.
Se non ci fosse stato quel brutto incidente.
Se oggi non lotterò per una medaglia è colpa di quell’episodio. Non sono più competitivo. Difficile persino superare il turno.
Sono alle Olimpiadi di Salt Lake City del 2002, prossimo al ritiro. Mi è costato arrivare qui. Costretto persino a lavorare per avere i soldi necessari.
Nel mio Paese, l’Australia, il mio sport non è molto diffuso, ma sono bravo.
O meglio. Ero bravo.
Talmente bravo da vincere tre medaglie ai mondiali.
Oro nel 1991, bronzo nel 1993, argento nel 1994 oltre alla medaglia di bronzo nei 5000 m. staffetta alle Olimpiadi del 1994
Poi quel maledetto giorno.
Ero a Montreal, in una prova dei 1500 m. individuali di Coppa del Mondo.
L’italiano Mirko Vuillermin non ha colpe.
Sono stato io a cadere sulla lama del suo pattino. E a causarmi una profonda ferita all'arteria femorale.
Quel giorno rischiai veramente di morire.
Persi quasi 4 litri di sangue e ci vollero 111 punti di sutura per chiudere la ferita.
Dopo 18 mesi di riabilitazione non ero più lo stesso. Lo sport mi aveva dato molto, lo sport mi aveva tolto tutto.
Quasi tutto
Per togliermi quel poco che mi era rimasto ci pensò un altro grave infortunio in allenamento nel 2000. Collo fratturato e sei settimane bloccato da un collare.
Tutto perso, ma io volevo andare assolutamente ai Giochi Olimpici del 2002.
E oggi sono qui. Anche se arriverò ultimo.
Scusate devo andare. Sono già stato eliminato al primo turno sui 1500 m.
Nei 1000 m. non ho speranze.
Superare il turno è difficile, quasi impossibile, ma essere alle Olimpiadi mi basta.
Anche se con tanta rabbia.

Vado, poi vi faccio sapere come è andata…
Tornato.
Non ho parole. Vi racconto. Ero ultimo, e questo lo sapevo già, quando davanti a me il giapponese è stato toccato dal canadese, rallentandolo. Io sono riuscito a passare, arrivando terzo. Ma passavano il turno i primi due. Pensavo di essere fuori, eliminato. Invece...
E invece farò le semifinali, perché hanno squalificato il secondo arrivato.
Sono contento, un po’ di fortuna mi ci voleva anche se in semifinale non ho speranze. Troppo forti i miei avversari, troppo debole io.

E' ora. Vado fa fare la semifinale, poi vi dico.
Eccomi qua.
Sorrido. Non so che dire. Ero ultimo, il gruppo mi aveva distaccato, quando il coreano ha perso aderenza cadendo. Nella confusione sono riuscito a passare arrivando secondo. Anzi no. Primo, perché quello davanti a me è stato qualificato.
E così sono in finale. Incredibile.
E il pensiero corre a quei diciotto mesi angoscianti dopo l’incidente.
E' solo grazie alla mia forza di volontà se sono ancora qui, in finale.
Arriverò ultimo, sicuro, ma non importa.

Vado a fare la finale. Ci sentiamo tra poco.
Cosa accadde in quella finale è cosa nota. Quelle immagini fecero il giro del mondo. L’australiano Steven Bradbury gareggiava con i fortissimi Li Jiajun, Apolo Ohno, il coreano Hyun-Soo Ahn e il ripescato Mathieu Turcotte. Senza nessuna speranza di vincere.
A due giri dalla fine Steven è ormai staccato dai suoi quattro rivali.
Ultimo, e sta arrancando.
Non gli importa, perché nessuno è mai riuscito a togliergli il sorriso.
Malgrado abbia sofferto le pene dell’inferno.
Ultimo, e che ultimo sia. Ma felice di essere lì.
Lo sprint finale dei primi iniziò a venti metri dal traguardo. E’ lì che accadde l’inverosimile.
Sgomitando, i primi quattro si toccano, i pattini si intrecciano, cadono a terra tutti, come birilli. Tutti, tranne uno.
Steven Bradbury è il primo a tagliare il traguardo. L’unico a rimanere in pedi.
Un minuto e 29 secondi il suo giro.
È oro. Il primo oro della storia per l’Australia alle Olimpiadi Invernali.
Steven Bradbury, ventinove anni, quel giorno stava pensando al ritiro. Aveva vinto la sua prima medaglia d’oro nella staffetta ai Mondiali di short track quando aveva solo sedici anni. E stava vincendo anche il giorno dell’incidente. Poi tutto era cambiato. Finito. Senza speranza
So cosa state pensando.
Al fattore C e all'enorme botta di c di Steven.
Magari qualcuno pensa persino che è stata un'ingiustizia. In effetti qualcuno si indignò a tal punto da chiedere la ripetizione della gara.
Non fu ripetuta perché lui non aveva nessuna colpa per la caduta.
I giornali scrissero che fu una beffa per lo sport. Che non meritava la medaglia d'oro.

Dimenticando, che trasformare contro ogni pronostico una tragedia in una favola, è proprio l'essenza dello sport.
Basta resistere, senza mai arrendersi.
Come ha fatto Steven Bradbury
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