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Storie di partigiani, per non dimenticare. (9)

Fiesole è una bellissima cittadina, alle porte di Firenze. Famosa per la sua storia, dagli Etruschi ai Romani, e per le ville esclusive, con i favolosi giardini all’italiana.
Però sulle colline c’è anche un monumento che squarcia il cielo, una grande scultura in bronzo del 1964 realizzata da Marcello Guasti per la terrazza panoramica all'interno del Parco della Rimembranza.
Rimembranza.
Il ricordo.
Di chi? Di che cosa?
Qualche critico d’arte dice che questa enorme tenaglia rivolta verso l’infinito rappresenta la feroce e spietata lotta fra il bene ed il male. Con il bene che può prevalere solo dopo drammatici sacrifici e dolori.
La storia è purtroppo piena di episodi a riguardo.
Comunque noi eravamo in servizio a Fiesole in quell’estate del ‘44, e collaboravamo tutti con la Brigata Partigiana "V" della Divisione Giustizia e Libertà.
Oltre che occupati dai nazisti si era in piena guerra civile con i fascisti, e svolgevamo una intensa attività.
Cosa facevamo? Una continua attività informativa e di collegamento per assicurare la copertura dei patrioti operanti, inoltre fornivamo armi e viveri, nascondevamo gli ex prigionieri alleati.
Tanto che il nostro superiore, Giuseppe d'Amico, era il comandante militare di settore.
Noi eravamo dei giovani carabinieri a Fiesole, ed il 29 luglio una staffetta portaordini partigiana formata da tre carabinieri ed un civile fu intercettata dai tedeschi. Nello scontro a fuoco che ne seguì un tedesco fu ucciso. Un carabiniere ed il civile furono catturati.
ll carabiniere si chiamava Sebastiano Pandolfo, il civile Ronaldo Lonari. Furono subito fucilati.
Il successivo 6 agosto i tedeschi arrestarono il nostro vicebrigadiere Giuseppe d'Amico, accusato di collaborare con la resistenza.
Per pura fortuna riuscì fuggire e si nascose.
Anche noi dovemmo darci alla clandestinità.
Alle 18.00 del 12 agosto venimmo informati che il Comando Tedesco, minacciava di fucilare per rappresaglia dieci civili, già in loro mano, se non ci fossimo consegnati.
Non avemmo dubbi, decidemmo di farlo per salvare dieci innocenti.
Ma prima dovevamo fare una cosa: dovevamo tornare in caserma a riprendere le nostre uniformi. Lì ci aspettavano i soldati tedeschi, che avevano trovato nascosti i moschetti e le bombe a mano.
Ci scortarono così al comando, dove alle 20.30 fummo subito fucilati.
In uniforme.
I nostri nomi? Eravamo Alberto La Rocca, nato a Sora il 30 gennaio 1924, Vittorio Marandola, nato a Cervaro il 24 agosto 1922 e Fulvio Sbarretti, nato a Nocera Umbra il 22 settembre 1922.
Tre giovanissimi Carabinieri.
Con un cuore grande per l’Italia e per l’Arma.
Nel novembre del 1986, papa Giovanni Paolo II pregò sotto quel monumento di bronzo e disse: «Dobbiamo grande riconoscenza a coloro che, come questi giovani, sanno offrire la propria vita per la libertà, per la pace e per la giustizia».
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