“L’ho fatto solo perché questa deve essere considerata una vittoria della Jugoslavia, un momento di orgoglio per tutto il paese”.
Non servì a niente.
Perché lui, il mio più grande amico croato, si sentì offeso da quel gesto.
Il mondo capì quello che stava per accadere.
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Ma io l'avevo detto in quella riunione ai mondiali. No a divisioni politiche, siamo qui solo per giocare a pallacanestro. Tra Serbi e Croati non è mai corso buon sangue, è vero, ma stiamo rappresentando la Jugoslavia unita, accidenti
Ma non era la bandiera della Jugoslavia. Tricolore certo, ma non aveva la stella rossa della Jugoslavia bensì lo scudo coronato a scacchi rossi dell’Unione Democratica Croata.
Sapevo cosa stava accadendo a casa, per questo reagii a quel modo.
Senza nemmeno un saluto. E poi quelle frasi.
“La situazione a casa è troppo grave. Non credo sia opportuno che ci vedano insieme.”
“Hey, ma di che stai parlando? Sono io. Sono il tuo amico Vlade.”
Ma io lo avevo detto.
“Vedete, io sono serbo di origine. Ma mi sento jugoslavo. Per me non è così importante da dove provengo. Serbi, Croati, ... siamo tutti uguali.”.
Capii, che erano state parole al vento.
Tre anni sono stati invece troppi per me.
Per altri potrebbero essere troppi anche due, uno o persino pochi mesi.
Per qualcuno, potrebbe essere troppo tardi persino domani.
La storia di un’amicizia che il vento dell’odio riuscì a distruggere.