Chissà lo spavento per quel povero manutentore che, mentre controllava l’aereo appena atterrato a Londra, ha scoperto la nostra presenza nel vano carrello
«Viaggiare nel vano carrello con quei vestiti è stata una cosa da pazzi» ha detto il medico.
Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Sarebbe bastato comprare un biglietto di prima classe, lo so.
Io ho dodici anni. O meglio, avevo dodici anni, e indosso un paio di jeans Levis un po’ lunghini, tanto da doverli arrotolare sulle caviglie, una maglietta colorata e una giacchetta grigia. Certo, i sandali con l’alluce di fuori non sono il massimo. Su questo concordo.
Due figurini, dai.
Un portafogli vuoto, due cartoline d’auguri stampate da una compagnia aerea del Ghana e un vecchio lucchetto.
Cose inutili, lo so, ma è tutto ciò che avevamo quando siamo partiti per la raggiungere l’Europa.
Solo che noi non avevamo nemmeno una lettera per i potenti. A che sarebbe servito?
È forse servita la lettera dei nostri fratelli Yaguine Koïta e Fodé Tounkara?
Ve la siete dimenticata presto.
Solo di una cosa mi dispiace.
E per questo probabilmente eravamo finiti nel vano carrello per un gioco.
Siete dei fenomeni. Secondo voi se uno è nero e ben nutrito non può cercare un futuro migliore?
Però c’è una cosa che accomuna molti ragazzi come noi, neri, bianchi, africani, asiatici, americani o europei.
Quella di non avere un futuro.
Quindi, datevi una mossa.