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Mercato elettrico - Fine tutela
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La liberalizzazione totale del mercato domestico in Italia è l'ultimo atto di un processo che risale al 1996, data di approvazione del primo "Pacchetto energia" da parte della UE. Questa direttiva e tutte le altre seguenti, assieme
alle varie decisioni, strategie, regolamenti, libri bianchi e verdi (non è un battuta, esistono veramente), nella tipica confusione normativa generata dalla UE, costituiscono un corpus di norme estremamente articolato e dettagliato, oltre che confuso. Sia quel che sia, la
liberalizzazione ha imposto la frammentazione della catena del valore, imponendo agli operatori incombenti di separare (prima solo contabilmente, poi anche legalmente) le varie attività: produzione, trasporto, distribuzione, vendita. Questo perché in ogni segmento
della filiera doveva essere creata concorrenza e favorito l'ingresso di nuovi soggetti. 
Ciò ha causato l'emersione di una serie di costi per il consumatore finale di energia che in regime di monopolio pubblico non sussistevano. Infatti, a dispetto delle teorie economiche
liberali per cui la concorrenza magicamente porta efficienza e prezzi bassi, nella realtà la gestione di alcune attività da parte di un unico soggetto che opera in regime monopolistico pubblico è più efficiente rispetto a quella che si viene a creare in regime di mercato.
Un esempio pratico, che mi auguro risulti chiaro.
Nella produzione di energia, per vari motivi (morfologia del nostro Paese, estensione della rete, distribuzione sul territorio dei centri di consumo e di produzione ed altri) si è creata una separazione fisica della rete e
la creazione di "zone di mercato" (il cui insieme dà luogo alla macro-zona di mercato "Italia"). In queste zone (tra geografiche e virtuali oggi sono venti) si crea un prezzo zonale, attraverso un sistema di SMP (System Marginal Price, prezzo marginale di sistema).
Con questo sistema, sul mercato del giorno prima (MGP su IPEX, gestito dal GME) si impilano tutte le offerte di acquisto (lato consumo) e tutte quelle di vendita (lato produzione) per ogni ora del giorno seguente in quella zona. L'incrocio di domanda e offerta dà luogo al prezzo
marginale della zona: dunque ogni operatore riceve il prezzo marginale, anche se ha offerto a prezzo più basso, poiché il prezzo viene fissato dall'offerta più costosa che incrocia la curva della domanda. La media dei prezzi zonali rappresenta il PUN, Prezzo Unico Nazionale, che
è il prezzo all'ingrosso cui gli operatori della vendita si approvvigionano per fornire il consumatore finale.
Nel disegno ideale del mercato perfetto, nei sogni di chi impone il mercato, il prezzo marginale zonale è la risultante di forze di mercato (cioè diversi produttori)
che con trasparenza competono e offrono al mercato la propria produzione a prezzi che si basano sui costi di produzione (fissi+variabili): dunque si dovrebbe essere in presenza di prezzi tendenzialmente bassi, o meglio i più bassi possibili. Ma nella pratica non è così:
nella realtà il prezzo è tendenzialmente alto (o NON il più basso possibile) perché a seconda delle caratteristiche della zona la competizione intra-zonale è inesistente o molto parziale. In altre parole, alcuni produttori sono in grado di fissare il prezzo marginale (zonale)
con una certa regolarità, a seconda del fabbisogno della rete (cioè del consumo) e della disponibilità e caratteristiche degli impianti (propri e dei concorrenti). Poiché la domanda è rigida e disposta a comprare energia praticamente a qualsiasi prezzo (se devo produrre
la ceramica ho bisogno l'energia adesso, se devo vedere devo accendere la luce adesso, se devo scaldarmi devo accendere la stufa elettrica adesso, ecc.), ecco che il prezzo marginale si forma ad un livello alto rispetto a quello che sarebbe se la domanda fosse davvero elastica
e se tutti i produttori avessero caratteristiche simili. Con ciò, gli operatori non fanno nulla di illecito o di sbagliato, sia chiaro: fanno ciò che le regole del mercato gli consentono di fare, cioè profitto. Questo margine di profitto incamerato dal produttore già in questa
parte della filiera incide sulla formazione del prezzo finale al consumatore e rappresenta un costo aggiuntivo, visto che il PUN è la media dei vari prezzi zonali ed è il prezzo cui i grossisti si approvvigionano.
In una condizione di monopolio, senza zone e con un costo medio di produzione complessivo del monopolista, questi costi aggiuntivi non esisterebbero.
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