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Ci sono alcuni errori fondamentali nel trattare il rischio:

1) Assumere che gli eventi generanti siamo necessariamente mutualmente esclusivi. Purtroppo avere la malattia X, non risparmia (quasi mai) dal prendere ANCHE la Y. Se X mi debilita, Y può anzi avere la strada spianata.
2) Assumere l'indipendenza dei rischi. Molti rischi correlano o sono dipendenti. Peggio, sono comonotoni, cioè si muovono nella stessa direzione. Se aumenta il rischio X tende ad aumentare pure Y.
Sì, l'indipendenza aiuta nei modelli, ma la realtà è più stronza (termine tecnico).
3) Nello sviluppare una strategia di gestione di un rischio, vanno considerati anche gli effetti sugli altri rischi, almeno per i più vicini. Se saturo un ospedale di gente con l'unghia dell'alluce incarnita (fatemi fare un esempio scemo), i malati più gravi chi li cura?
4) Paragonare rischi indipendenti può essere fuorviante. Es: il rischio di morire fulminati è X, quello di dover mangiare una pizza con ananas è Y.
X è stimato molto basso e accettabile. Y più piccolo ancora.
Quindi Y dovrebbe essere accettabile. Errato: devo considerare altro.
Sono rischi ripetibili? Sono additivi? Sono moltiplicativi? Guardare alla dimensione non basta. Infatti questo di chiama bias dimensionale.
5) Se X non presenta alcun rischio evidente, allora X non può avere rischi inaccettabili nascosti.
Pensate all'amianto e poi mi dite.
6) Per valutare bene X occorre avere più dati, quindi conviene aspettare.
Tanti auguri, questo è il bias del ritardo ed è in grado di fare grandi casini.
7) I dati storici non mostrano rischi eccessivi, quindi non possono esserci rischi eccessivi.
Chiamasi bias storico e si lega alla storia del tacchino, che si vede sempre ben alimentato dal fattore e crede di poter vivere nella cuccagna per sempre. Poi il Giorno del
Ringraziamento se lo pappano e il suo rischio diviene infinito (muore).
In finanza errano spesso, pensate a Lehman Brothers.
Ricordate una cosa che nello sport è scontata, ma che viene ignorata altrove: il nuovo record non è mai nei dati passati.
8) Quantificare X richiede doti tecniche avanzate, quindi solo un tecnico può decidere a riguardo.
Questa è sottile: i tecnici sono fondamentali, ma ogni decisione "politica" prevede assunzione di responsabilità. Inoltre non bisogna cadere nel bias del ritardo.
E spesso la decisione tecnica potrebbe avere un costo sociale secondario (la famosa eterogenesi dei fini) superiore al rischio calmierato.
Benvenuti nel meraviglioso mondo del risk management, affascinante perché incasinato.
9) Se tra non esperti ed esperti non c'è consenso, hanno necessariamente ragione gli esperti. È il noto bias del consenso. È vero che gli esperti tendono ad avere ragione più spesso, ma siamo tutti umani.
Diciamo che seguire il principio di precauzione non fa mai male.
10) Abbiamo finalmente una strategia che ci protegge, siamo salvi.
E qui vi aspetto io col paradosso della ringhiera (#fenceparadox).
Il momento più rischioso che si possa correre è quando si pensa di non correre alcun rischio.
Si abbassano le difese e...
11) Tutti i rischi sono quantificabili e i numeri che li quantificano sono affidabili al 100%.
Rischio di modello e non elicitabilità di tutte le probabilità, tornare al prossimo appello.
12) Non si può fare nulla, bisogna accettare il fato ineluttabile. Bias del determinismo: se ti arrendi, hai già perso.
12bis) Magari potevo rileggere per correggere gli errori di battitura, ma sono in treno, il gatto mi ha mangiato il foglio e sono sfaticato.
13) Quando si stima un rischio c'è sempre un grado di errore. E sulla stima dell'errore si compiono errori, sui quali altri errori sono commessi. Il tutto in modo moltiplicativo. Si creano così diversi piani di incertezza epistemologica, il cui esito sono code che si ispessiscono
quale naturale conseguenza del teorema del limite centrale.
14) Paradosso della predizione: il futuro ha sempre code più grasse del passato (è potenzialmente più pericoloso), non importa quali tecniche predittive si usino, a meno di non vivere in un mondo strettamente gaussiano (e non è il caso).
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