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Johannes Bückler @JohannesBuckler
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#MdT 1990 - Lui si chiama Pietro Ivano Nava, nome sconosciuto ai più. Nato nel milanese vive ora a Monte Marenzo. Ha 40 anni e lavora come agente di commercio, rappresentante esclusivo per il Mezzogiorno delle porte blindate 'Dierre' di Villanova d'Asti.
#MdT 21/09/1990-E’ venerdì, e fa caldo. Pietro si trova in Sicilia per lavoro, destinazione Agrigento. Assorto alla guida della sua Lancia Thema, sulla statale 640, si accorge solo all’ultimo della Ford Fiesta rosso amaranto ai lati della strada. La portiera è aperta sulla destra
Accanto c’è un ragazzotto col volto coperto da un casco. Più avanti un altro sta scavalcando il guard-rail. Ha il volto scoperto, e ha una pistola. Sta inseguendo qualcuno che cerca di mettersi in salvo nel vallone bruciato dal sole. Inseguito lungo la scarpata, l’uomo inciampa.
Vede l’uomo con la pistola braccare quello che scappa.L'uomo spara, lo colpisce. Si avvicina e l’uomo a terra urla“Cosa vi ho fatto?” L’uomo dal volto scoperto:“Prendi pezzo di merda” e gli scarica addosso 4 colpi di pistola. Pietro è poco distante e vede l’assassino in faccia.
Pietro accelera spaventato e raggiunge Agrigento. Cerca un telefono. Non ha esitazioni, sa benissimo cosa può essere successo, i metodi sono quelli mafiosi. Ma non indugia un attimo.Afferra il telefono e chiama la polizia:”Ho visto l'assassino. Se lo trovate, saprei riconoscerlo"
L'uomo barbaramente ucciso è il giudice Rosario Livatino. Nel 1990 non esiste ancora in Italia alcun programma di protezione per i testimoni a rischio. Solo la Legge 41/2001 introdurrà la figura del "testimone di giustizia" nella giurisdizione italiana.
#MdT 08/04/1992 - Inizia il processo. Pietro si è presentato in aula camuffato con barba e baffi finti e protetto da un paio di occhiali scuri per evitare ritorsioni. Ma non ha nessuna esitazioni. Lui è il supertestimone dell'agguato al giudice Rosario Livatino.
Ha indicato ai giudici della corte d'Assise di Caltanissetta Domenico Pace e Paolo Amico come gli esecutori del feroce omicidio. Per motivi di sicurezza (il testimone ora vive in Germania protetto dalla polizia) la deposizione è avvenuta nell'aula bunker del carcere di Rebibbia.
#MdT Giugno 1994 - Pietro Ivano Nava è oggi un fantasma.Cancellato dai registri dell'anagrafe, dall'elenco telefonico, dal ricordo dei familiari. Ha vissuto in un anonimo condominio della periferia romana, si è rifugiato su un'isola del golfo di Napoli e ancora in Irpinia.
E' emigrato in Olanda. Per sfuggire alla vendetta della mafia, vive ora in un'altro Paese europeo. Dice: "La mia vita è stata stravolta, sì. Avevo degli amici che mi erano cari come fratelli. Non li vedo più, non ci si telefona nemmeno. Ho una famiglia. Posso vederla ogni tanto.
Ho una compagna e bambini. Trascorriamo del tempo insieme. Quando è possibile, se le condizioni di sicurezza lo permettono. Avevo un lavoro. Ero il rappresentante esclusivo per il Mezzogiorno delle porte blindate ' Dierre'. Mi hanno licenziato perché non volevano guai".
Guadagnavo molto bene. Avevo davanti un futuro senza nubi. Ora vivo di quel che mi passa lo Stato. Non può essere questo il mio futuro. Allo Stato non chiedo nulla, chiedo che non abbandoni la mia famiglia. La mia famiglia non deve correre nessun pericolo. Né oggi né domani.
"Non mi sento un eroe, non mi sento una mosca bianca. Non sono né l'uno né l'altro. Sono un cittadino che crede nello Stato né più né meno come ci credeva Rosario Livatino. E lo Stato non è un'entità astratta. Lo Stato siamo noi. Siamo noi che facciamo lo Stato.Giorno per giorno"
"Con i nostri comportamenti, la nostra responsabilità, le nostre scelte. Con la nostra dignità. Che avrei dovuto fare? Chiudere gli occhi? Tirare innanzi per la mia strada? No, non sono stato educato a questo modo. Mi sono comportato come mi hanno educato. E non rinnego nulla"
«Beato il popolo che non ha bisogno di eroi» diceva Bertolt Brecht. In verità questo Paese avrebbe bisogno di più eroi. Anche solo normali. Come Pietro Nava, “morto” quella mattina del 21 settembre 1990.Che ancora oggi continua a ripetere di avere fatto "solo una cosa normale".
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