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Il 2 ottobre 1969, esattamente 50 anni fa, la tv di Stato giapponese mandava in onda il primo episodio di quello che secondo molti è il miglior anime di sempre, di certo quello che ha rivoluzionato i codici degli anni a venire: Taiga Masuku, ovvero L'uomo Tigre.
Il cartoon (105 episodi in tutto con due finali alternativi tenuti in piedi fino all'ultimo dagli sceneggiatori, come da tradizione nipponica) è tratto dall'omonimo manga di Ikki Kajiwara, pubblicato un anno e mezzo prima quando il fumettista era poco più che trentenne.
Kajiwara in quel momento ha già all'attivo una serie di successo: Tommy, stella dei Giants, ambientata nel mondo del baseball giovanile. Vive in un monolocale di Tokyo, è di salute cagionevole, mantiene a distanza la moglie e due figlie piccole, beve ed è sempre in bolletta.
Prima del boom di Taiga Masuku, Kajiwara è costretto ad arrotondare come ritrattista, vetrinista, cartellonista. Prova due volte il concorso per docente all'Accademia d'arte ma fallisce. Ha bisogno di soldi. Un editore concorrente gli fa una proposta:
disegnare un'altra serie sportiva. Kajiwara accetta. Lavorando giorno e notte, a cavallo tra la fine del manga e l'inizio del cartoon dell'Uomo Tigre, fa uscire (con lo pseudonimo Asao Takamori) Ashita No Jo, una storia di pugilato e bassifondi che noi conosceremo come Rocky Joe.
In Tommy, Uomo Tigre e Rocky Joe troviamo gli stessi tratti narrativi, che poi sono la chiave del successo di Kajiwara e condizioneranno sia la sua opera matura sia quella dei fumettisti che verranno. In sintesi, Kajiwara è il primo artista a rappresentare la sua generazione:
milioni di bambini giapponesi nati a cavallo della guerra, spesso orfani o cresciuti in contesti familiari difficili, persi tra il racconto di una grandeur che non esiste più e la necessità di guadagnarsi la pagnotta, solitari, in cerca di un senso dell'onore non militaristico.
Sono bambini e ragazzi come lui, che trovano nella miseria la spinta per esaltare sacrificio, applicazione e coraggio. Lo fanno attraverso lo sport e il lavoro, metafore della competitività estrema che caratterizza il Giappone agli esordi del suo boom economico.
Lo fanno, soprattutto, scegliendo di votarsi al bene rispetto a un male che in apparenza è più comodo. Joe rifiuta di fare l'estorsore, Tommy per diventare professionista si mette a dieta invece di indossare un corpetto restringente. E poi c'è Naoto Date.
Naoto è un orfano catturato dalla Tana delle Tigri, che per dieci anni lo educa al wrestling professionistico con metodi disumani. Uscito dall'organizzazione sceglie di diventare un lottatore leale, e invece devolvere a loro i suoi ingaggi li destina al suo vecchio orfanotrofio.
Per darvi un'idea di quanto questa storia abbia colpito i giapponesi, vi basti pensare che ancora oggi, a mezzo secolo di distanza, migliaia di donazioni benefiche l'anno nel Paese sono firmate Naoto Date. È la forma di anonimato scelta dagli orfani divenuti benestanti, o ricchi.
Kajiwara invece ricco non lo diventerà mai, nonostante nel decennio successivo firmi molte delle serie nipponiche di maggior successo: Trider G7, Superboys, Sam ragazzo del West, Mimì e la nazionale di pallavolo, Sally la maga.
Contratti firmati incautamente, beghe sui diritti, due divorzi burrascoso con annessa lite sugli alimenti e accuse di maltrattamento, la morte della seconda figlia rapita a scopo di riscatto, il troppo alcol, costringono uno dei più grandi artisti di sempre a una vita di stenti.
Negli ultimi anni Kajiwara campa di royalties e ospitate alle fiere e nei talk show. Non disegna più. L'unica consolazione è la laurea honoris causa concessa all'Accademia che nel 1968 lo giudicò due volte inidoneo all'insegnamento.
Ikki Kajiwara fa appena in tempo a partecipare alla cerimonia. Nel 1987, a nemmeno 50 anni, muore di infarto nello stesso monolocale dove disegnò l'Uomo Tigre. Che oggi lo supera in longevità e ha stregato tre generazioni di ragazzi in tutto il mondo.
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