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Ero in palestra quel 24 agosto 2019, quando Andrew Luck, quarterback degli Indianapolis Colts (National Football League), annunciò il suo ritiro. C’è sempre un po’ di nostalgia, di amarezza quando annunci il tuo ritiro. Qualcosa in più se, come Luck, hai solo 29 anni.
"Gli infortuni mi hanno portato via l’amore per il gioco" fu la sua spiegazione. "Negli ultimi 4 anni sono entrato in un circolo da cui non riesco a uscire. L'unica cosa che posso fare è lasciare il football: è la decisione più difficile della mia vita, ma è quella giusta per me"
Un dispiacere enorme.
Ma per me si apriva finalmente uno spiraglio.
Che stupido. Mi sono illuso.
Gli Indianapolis Colts hanno preferito, ad uno come me, un modesto quarterback senza contratto.
Sapete, me l’aspettavo.
Ormai sono un appestato per la National Football League.
Perché quella sera ero in palestra?
Per tenermi allenato, perché sono un buon quarterback, dopo anni di esperienza nei San Francisco 49ers e un Super Bowl disputato da protagonista nel 2013.
Eppure, incredibile a dirsi, non gioco una partita da tre anni.
Tutto è cominciato nell’estate del 2016.
I telegiornali americani diedero al mondo la notizia dell'uccisione di diversi afroamericani a opera della polizia.
L’ultima il 6 luglio. La terribile uccisione di Philando Castile, un 32enne di colore.
Una morte registrata col cellulare dalla fidanzata che era in macchina con la vittima (sul sedile dietro la figlia di 4 anni scappata dall’auto durante gli spari). Malgrado non avesse seguito le procedure, l’agente, che aveva sparato sette colpi, era stato assolto. Come sempre.
Da lì le numerose proteste nelle strade.
Non potevo rimanere indifferente.
In occasione della partita casalinga di pre-season contro Green Bay, io Colin Kaepernick, rimasi seduto in segno di protesta durante l’inno nazionale.
Era il 26 agosto del 2016.
"Non mi alzo per mostrare orgoglio verso la bandiera di un paese che opprime i neri. Per me è più importante del football, e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono cadaveri per le strade, e persone che la fanno franca" dichiarai...
La cosa non finì lì.
Nelle partite successive continuai la protesta. Durante l’inno nazionale mi mettevo ginocchio.
La prima volta insieme a Eric Reid.
Altri giocatori in seguito fecero la stessa cosa.
Una protesta del tutto pacifica.
L'America era in piena campagna elettorale per l'elezione del successore di Obama e Trump dichiarò "Dovrebbe trovarsi un Paese più adatto a lui".
La cosa non mi aiutò, visto che sette squadre della NFL finanziavano la sua campagna elettorale con donazioni da milioni di dollari.
C'era il vicepresidente Mike Pence con la moglie quel giorno di ottobre alla partita tra gli Indianapolis Colts e San Francisco 49ers. Durante l'inno molti i giocatori in ginocchio.
Reagì.
"Non presenzio a eventi dove non si rispettano i nostri soldati, la bandiera e l’inno".
Lasciò la partita prima dell'inizio (su ordine di Trump).
I Colts indossavano una T-shirts con la scritta "difendere l'uguaglianza, la giustizia, il rispetto, il dialogo e le opportunità".

Mi dite cosa c'è di sbagliato in questa frase?
Cosa spaventa?
Quali furono le reazioni a quel mio comportamento?
Alla fine dell’anno la mia squadra pensò bene di non rinnovarmi il contratto.
E da allora nessuna squadra di NFL mi ha più ingaggiato.
Sono diventato per tutti un personaggio scomodo.
Dovete sapere che la NFL è un campionato che fa, stimati nel 2019, quasi 9 miliardi di profitti. E il Super Bowl è l’evento sportivo più redditizio al mondo. Per questo se ne stanno alla larga da personaggi come me.
Per questo nessuno mi ha più ingaggiato.
Io comunque ho continuato nella mia battaglia. In molti modi. Per esempio usando molti dei soldi che avevo guadagnato per iniziative benefiche. Come con la "H.o.m.e." un'organizzazione che affianca le ragazze madri in Georgia.
Nel 2018 la Nike mi ha messo sotto contratto come testimonial. Un video pubblicitario con atleti di ogni età, razza e condizione fisica.
A dimostrare che non ci sono barriere impossibili da abbattere.
“Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto quanto".
Poteva mancare la reazione di Trump?
"La Nike ha mandato un messaggio terribile scegliendo Colin Kaepernick come testimonial", ha tuonato l'inquilino della Casa Bianca. Risultato? Ultima trimestrale 2018 + 10% di incremento nei profitti e un +9% nelle vendite in Nord America.
Il mese scorso, Colin Kaepernick, ha svolto una sessione di allenamento organizzata dalla NFL come mossa strategica, di sola facciata.
Su 24 squadre che avrebbero dovuto assistere al provino, solo 8 si sono presentate.
Un buon provino.
"Io sono pronto, ora tocca a loro"
Quante possibilità ha Colin Kaepernicki di tornare a giocare?
Diciamo le stesse probabilità che ha un poliziotto americano di essere condannato per aver ucciso un uomo di colore.
Grazie a @stormtper per avermi chiesto di raccontare la storia di Colin Kaepernick.
Un uomo che ha fatto una scelta.
Quella di essere dalla parte giusta della storia.
A qualunque costo
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