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E’ successo nel 1990.
Quando un mio pronipote inoltrò alla Corte militare d’appello istanza di una mia riabilitazione.
Aveva allegato tutti i documenti.
Ci aveva lavorato anni. Sapete quale fu la risposta?
«Istanza inammissibile, manca la firma dell’interessato». Già
Peccato che io ero morto da un pezzo. Diciamo più o meno da 74 anni.
Che dovevo fare. Risorgere per mettere una firma?
In verità, non mi accontento della riabilitazione.
Io voglio essere considerato un eroe, perché quel giorno salvammo decine di vite umane.
Lo ricordo bene.
Era l’ultimo giorno di giugno del 1916. Facevo parte della 109.ma Compagnia del Battaglione ‘Monte Arvenis’ ed eravamo a quota 2000.
Sulle nostre montagne.
Io mi ero già meritato due medaglie sul campo, ma quel giorno decisi di fare la cosa più saggia.
Quando venne deciso un attacco alle rocce della cima Cellon in pieno giorno, senza supporto di artiglieria, io e altri compagni suggerimmo di farlo col favore della notte.
Di più.
Ci rifiutammo di uscire dai baraccamenti perché sarebbe stato un suicidio farlo di giorno.
Meglio la notte, con la nebbia a proteggerci.
Apriti cielo.
Il capitano, tale Armando Ciofi, gridò «rivolta in faccia al nemico».
Ordinando la corte marziale per noi e altri 80 soldati.
Quanto durò il processo? Una notte.
Decine gli accusati, nove minuti a testa per la difesa.
C’erano le circolari Cadorna, quindi“severa repressione”. Ricordando il “sacro potere ” degli ufficiali di passare subito per le armi “recalcitranti e vigliacchi”.
Era il 1° luglio 1916
Quattro le condanne a morte mediante fucilazione.
Io, Silvio Gaetano Ortis, caporal maggiore di 25 anni, Giambattista Corradazzi, 23 anni di Forni di Sopra,
Basilio Matiz, 22 anni di Timau e Angelo Massaro, 22 anni di Maniago.
Tutti carnici.
“Punire ammutinamenti, ribellioni o atti di codardia all'interno del Regio Esercito”.
Così ci punirono.
La prima scarica uccise subito i miei tre compagni.
Per me ci volle una seconda scarica e poi tre colpi di pistola alla testa.
Io volevo vivere.
Nel 1914 l’Italia era l’unico Paese ad aver abolito la pena di morte (codice penale 1889).
Rimaneva però nel codice penale militare (1869) in tempo di pace per pochi reati e in tempo di guerra per una casistica molto più ampia.
La giustizia penale militare durante la Grande Guerra fu soprattutto regolata da circolari che avevano valore di legge.
Strumenti che sfuggivano ad un controllo del Parlamento.
Il legislatore dovette inseguire a posteriori per regolarizzare il tutto.
Quanti furono le vittime italiane della giustizia militare?
L’unica statistica disponibile riporta che furono almeno 1.150. La cifra più altra tra tutti gli eserciti in Guerra.

Per l’impero tedesco si parla di 50.
La Francia inizialmente 650. Con la digitalizzazione delle sentenze il numero è stato portato a 1009. L’esercito britannico 350. Il piccolo esercito belga 20. Il piccolo esercito bulgaro ben 800. L’Italia è il Paese col più basso numero di civili e prigionieri di guerra fucilati.
A differenza degli altri paesi, in Italia non erano previsti riesami. E, altra differenza, era prevista la condanna in contumacia.
Su oltre 4.000 condanne a morte, solo in 1061 casi l’imputato era presente al processo.
Ma i soldati non subirono sempre processi.
Il supremo Luigi Cadorna aveva ben poca fiducia dei suoi soldati.
Prima circolare, 24 maggio 1915 dal titolo “Disciplina di guerra”
E poi la circolare del 28 settembre 1915 n. 3325.
Grazie a @Sistodm per avermi chiesto di raccontare la storia dei “fucilati di Cervicento”.
Che disobbedirono ad un ordine assurdo salvando la vita alla loro compagnia.
So che vi state chiedendo come andò l’attacco alla cima del Cellon.
La cima fu espugnata da un’altra compagnia, ma l’attacco avvenne di notte, protetti dalla nebbia. Esattamente come avevano suggerito i “disertori”
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