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Mi aspettavo questa convocazione. Ho saputo che anche nei ghetti in Polonia hanno fatto la stessa cosa.
Mi chiederanno gli elenchi degli iscritti alla Comunità.
Mi chiederanno di collaborare.
A loro non bastano i dati del censimento del 1942.
Siamo nel 1943 e io ormai sono vecchio e stanco.
Mi chiamo Giuseppe Jona e sono nato nel 1866 a Venezia, quarto di cinque fratelli, da una famiglia ebraica.
Primi studi al Liceo Foscarini e poi la laurea in medicina all’Università di Padova.
Quindi libera docenza in anatomia.
Formavo giovani, nella “Scuola Pratica di Medicina e Chirurgia” fondata nel 1863 all’Ospedale Civile. Mai sposato. Troppi fratelli, nipoti, allievi e colleghi a cui badare.
“Patriota entusiasta di fede incrollabile” la menzione ottenuta nella Prima Guerra Mondiale.
Aiutato da Paolina, mia sorella, aprii un ambulatorio gratuito per i più bisognosi.
Fu così che a Venezia cominciarono a chiamarmi “il medico dei poveri”.
Cercando di diffondere la cultura tra il popolo con una biblioteca circolante.
E poi la proposta di una stazione idrobiologica accanto a quella talassoterapica già esistente. Al Lido sulla spiaggia stava sorgendo l’Ospizio Marino Veneto per la cura degli “scrofolosi” con il mare e il sole.
Due miei allievi ne diventarono i primari.
Evitai di essere cacciato dal mio ospedale in seguito alle leggi razziali fasciste del 1938. Solo perché ero andato in pensioni due anni prima. Persi comunque la libera docenza e come socio fui radiato dall'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e dall'Ateneo Veneto.
Due anni dopo, nel 1940, venni depennato dall'Albo dei Medici. Fu nello stesso anno che assunsi il compito di guidare la comunità israelitica. E continuai a farlo anche dopo l'8 settembre 1943.
Volevo aiutare chi non voleva o non poteva fuggire.
Lo avevo detto chiaramente nel discorso del mio insediamento. Che la situazione sarebbe peggiorata. Che noi ebrei dovevamo aspettarci il peggio. E così era stato.
Ma organizzai la scuola per i bambini ebrei difendendo la comunità persino dalle aggressioni della stampa.
Ora sapete la mia storia. Come vi ho detto all’inizio, mi hanno convocato al comando tedesco. Come presidente della Comunità ebraica di Venezia, chiamato nel 1940 dal rabbino Ottolenghi.
So per certo cosa mi chiederanno.
Nomi e indirizzi dei 1.200 ebrei di Venezia.
Ora lasciatemi solo. Devo finire di scrivere e sono molte le cose che devo mettere nero su bianco.
Oggi 14 settembre, nel pieno delle mie facoltà…lascio i miei 1684 volumi alla biblioteca dell’Ospedale Civile di Venezia.
Lascio 240.000 lire in buoni del tesoro affinché la loro rendita (al 5%) venga impiegata per elargire ogni anno quattro premi di 1000 lire agli infermieri più meritevoli del reparto di medicina e chirurgia.
Quattro premi di 1000 lire per i malati poveri con famiglia onesta e bisognosa e altre 4000 lire per consentire a due medici, scelti dal consiglio dei primari con regolare concorso, di specializzarsi in istituti italiani o stranieri.
Lascio 60.000 lire in buoni del tesoro alla casa di ricovero israelitica, altre 3000 lire a sei famiglie bisognose della parrocchia di San Felice scelte dal parroco e infine 1500 lire a tre famiglie povere scelte dalla commissione di beneficenza della comunità israelitica
Dopo aver distrutto ogni documento in suo possesso che potesse rivelare l'identità e il domicilio degli ebrei veneziani, nella notte del 15 settembre, Giuseppe Jona si suicidò.
Il decesso fu registrato solo il 17 settembre. Perché Il suo gesto fu un insulto per i nazisti
Gli ebrei avevano le ore contate a Venezia.
Lui aveva tutti gli elenchi. E come medico conosceva anche tutti i veneziani che li nascondevano, visto che andava di nascosto a curarli.
Non avrebbe avuto la forza per resistere alla tortura.
Scelse di morire, piuttosto che tradire.
I nazisti proibirono ai veneziani di partecipare al suo funerale. I colleghi gli resero omaggio nel cortile dell’Ospedale. I gondolieri, riconoscenti per tutte le cure gratuite che avevano ricevuto, sfilarono in silenzio sull’acqua
Una lapide commemorativa, posta nel ghetto di Venezia, ricorda Giuseppe Jona.
La scritta si conclude con “ALLA ROVINA D’ITALIA AL NUOVO MARTIRIO D’ISRAELE NON SEPPE SOPRAVVIVERE”.
Mi sono sempre chiesto del perché.
Perché questo giudizio, perché questa condanna?
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