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Dopo aver visionato in anteprima "#Putin Vs the West", in onda questa sera sulla BBC, posso dire che l'anticipazione sulla telefonata intercorsa fra #BorisJohnson e Vladimir Putin è solo una - e nemmeno la più fragorosa - delle bombe giornalistiche di cui oggi i cittadini del
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Regno Unito potranno godere in prima serata.
Il documentario è di fatto una ricostruzione storica attraverso il metodo del "dietro le quinte", un susseguirsi di retroscena raccontati dai protagonisti che mette sotto la lente di ingrandimento gli avvenimenti e le negoziazioni
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che hanno condotto fino all'odierna situazione tra #Russia e #Ucraina.
La prima delle tre puntate della serie prende le mosse dall'#Euromaidan e arriva fino alla firma degli accordi di #Minsk, ma per rendere chiaro quanto la cronaca sia strettamente collegata alla storia di
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quei giorni, il documentario si apre con le parole di José #Barroso, all'epoca presidente della Commissione Europea. Il portoghese spiega: "Nella mia vita ho incontrato Putin 25 volte. Per me è un uomo che sa ponderare il rischio. C'è della razionalità nel suo processo
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decisionale. Quando l'ho visto, giorni prima dell'invasione in Ucraina, penso che l'emotività fosse più forte del pensiero razionale. Ora sta esprimendo una profonda, profonda frustrazione. E risentimento, verso l'Occidente. Ma non solo contro l'Occidente. Contro il passato.
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Contro la Storia".
Ma come si arriva a questo punto?
Per capire bisogna partire dal 28 novembre 2013. A Vilnius è la presidente lituana in persona, Dalia #Grybauskaitė, ad insistere affinché i maggiori leader europei siano presenti all'incontro chiamato a siglare un accordo
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di libero scambio senza precedenti fra Unione Europea e Ucraina.
Quando però si presenta al vertice, l'allora presidente ucraino Viktor #Yanukovich chiarisce immediatamente ai suoi colleghi che, a dispetto delle attese, lui non firmerà nessuna intesa.
Dopo anni di trattative,
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la delusione dei leader europei è enorme. E anche in patria iniziano a montare le proteste. Angela #Merkel dice al suo interlocutore: "Ci aspettiamo di più", ma è Grybauskaitė, oggi, a ricostruire l'accaduto: "Abbiamo parlato con Yanukovich e siccome parliamo russo è stato
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più sincero. Ci ha fatto capire che era sotto pressione da parte della Russia. Personalmente sotto pressione".
L'ex primo ministro David #Cameron, presente a sua volta al vertice su espressa richiesta della Grybauskaitė, ricorda di aver chiesto una lettura della situazione al
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presidente azero Ilham #Aliyev, a suo dire in grado di decifrare meglio di molti altri i rapporti tra #Kyiv e Mosca: "Per me - disse Aliyev - la situazione è chiara. Flirtano con voi perché vogliono un accordo migliore con la Russia. Questo è ciò che vogliono". Ha ragione.
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E la gente ucraina non sta a guardare. Nella capitale scoppiano le proteste, sfilano migliaia di persone con le bandiere ucraine ed europee ma, a due settimane dal fallimentare vertice di Vilnius, Yanukovich sigla un'intesa a peso d'oro con Mosca (15 miliardi di dollari).
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Gli ucraini si sentono traditi da Yanukovich, scendono in strada. Le forze di sicurezza sparano sui manifestanti. Il Paese è sull'orlo di una guerra civile. Ma con il popolo ucraino deciso a chiedere le dimissioni di Yanukovich, la comunità internazionale si muove.
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Una delegazione europea di ministri degli Esteri si reca a Kyiv comunicando a Yanukovich che per lui è tempo di passare la mano e di porre fine al bagno di sangue. Yanukovich sospende le trattative, telefona a Mosca e, con sopresa dei suoi stessi interlocutori, accetta la
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sconfitta. L'indomani, il Parlamento ucraino ratifica i termini dell'accordo (elezioni anticipate, governo di unità nazionale, ritorno alla Costituzione del 2004), ma quando tutti cercano Yanukovich perché metta la propria firma a sigillo dell'intesa, nessuno lo trova.
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È fuggito al confine con la Russia, forse è già in #Crimea, scortato per ordine di Vladimir Putin che, tempo dopo, rivelerà: "Non è esagerato dire che ho chiesto alle forze russe di salvare la vita del Presidente dell'Ucraina".
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Eppure non è quella la mossa più audace compiuta dall'inquilino del Cremlino. Mentre il mondo guarda all'Euromaidan, con la Russia che ospita i Giochi Olimpici Invernali di Sochi, gli "omini verdi", soldati sprovvisti di uniformi ufficiali russe ma controllati da Mosca,
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danno inizio alla presa della Crimea. La risposta internazionale? Non è quella che servirebbe.
Il presidente russo non rinuncia alle sue rivendicazioni (e rivisitazioni) storiche. Con l'Ucraina è deciso a portare avanti quella che ritiene essere una "missione" arrivando al
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punto di dire al primo ministro britannico, David Cameron, che "questo è il mio cortile. Vattene". Barack #Obama spinge sugli Alleati affinché applichino pesanti sanzioni, ma gli USA sanno che, per via dei forti legami con la Russia saranno in primis i Paesi europei a
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doverne sostenere il costo.
Il momento chiave è il vertice di emergenza UE del marzo 2014. Cameron ricorda: "Fui chiaro sul fatto che non avremmo inviato truppe in Ucraina. Nel tuo cuore volevi fare di più. Ma nella tua testa, sapevi, sai, che non dovevamo trasformarlo in
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una guerra tra Russia e #NATO".
Dal punto di vista delle sanzioni, Londra punta il dito soprattutto sulle resistenze di Germania e Italia. L'ex presidente francese François #Hollande, a proposito di Roma, dichiara: "Matteo #Renzi, forse per ragioni storiche, poiché l'Italia
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e la Russia hanno avuto sempre strette relazioni, e per il fatto che la classe politica italiana aveva una certa indulgenza nei confronti di Putin, richiamò il rapporto che l'Italia aveva con la Russia ma anche il rischio che le sanzioni avrebbero impattato sulle persone
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comuni e non sui leader. Ha anche lasciato intendere, cosa non sbagliata, che a Londra erano stati accolti alcuni oligarchi russi". Il vertice si conclude con un penultimatum: minaccia sanzioni qualora Putin non ritiri le sue forze. Ma queste colpirebbero un piccolo numero
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di individui, nessuno dei settori economici chiave.
In tutta risposta, dieci giorni più tardi, ha luogo il referendum farsa: il 93% dei cittadini della Crimea vota per l'annessione alla Russia. Le tensioni, anziché placarsi, montano ulteriormente. Un momento decisivo è il
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discorso pronunciato in Olanda da Barack Obama. L'allora presidente USA definisce la Russia una "potenza regionale". Barroso sostiene oggi che quelle parole aumentarono il risentimento di Putin. Il capo dello staff di un altro ex presidente della Commissione Europea,
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Jean-Claude Juncker, aggiunge che Putin si disse "insultato" da quella affermazione. Ma è solo il preludio ad un altro duro colpo assestato all'orgoglio di Vladimir Putin: l'esclusione della Russia dal format del G8. È così che il 70esimo anniversario dello sbarco in
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Normandia degli Alleati si trasforma in una chance per la diplomazia. La presenza di Putin resta a lungo in dubbio, ma alla fine il presidente Hollande decide di invitare il presidente russo, che si presenta all'Eliseo. Hollande ricorda: "Putin portò, come gesto di buona
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volontà, una bottiglia di vodka, che trasportava in una borsa frigo. Voleva esserci assolutamente in Normandia. Era qualcosa legato alla storia, al fatto che l'Unione Sovietica, con la feroce resistenza di Stalingrado contro i Nazisti, avesse contribuito alla vittoria nella
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Seconda Guerra Mondiale. Poi era stato escluso dal G8: quindi esserci significava essere reintrodotto nella comunità internazionale. Il prezzo da pagare per esserci era incontrare il nuovo presidente ucraino: Petro #Poroshenko".
Putin si presenta. Ma pubblicamente non
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stringe la mano di Poroshenko, come svela Hollande: "Preferì andare in una stanza dove si trovarono faccia a faccia". L'allora leader di Kyiv ricorda di aver notato come "la fila dei leader che volevano stringere la mano di Obama era molto meno lunga di quella di chi voleva
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stringere la mano di Putin. Così compresi quanto sarebbe stato difficile per me e per gli ucraini fermare Putin".
È Hollande a trascinare (letteralmente) nella stanza dei colloqui Vladimir Putin, prendendolo per mano: "Ok, 10-15 minuti. Non di più", dice il presidente russo.
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È Hollande a trascinare (letteralmente) nella stanza dei colloqui Vladimir Putin, prendendolo per mano: "Ok, 10-15 minuti. Non di più", dice il presidente russo. "Perché?", chiede Poroshenko. "Perchè ho un'agenda molto fitta". Il presidente ucraino inizia a chiedere
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l'immediata liberazione della Crimea. Putin rispose in russo: "Ikh tam net", che significa: "Non ci sono truppe russe lì". Interviene allora Angela Merkel, parlando in russo: "Volodiya. Non essere sciocco, avanti". Nessun accordo sostanziale viene raggiunto.
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Un altro punto di svolta si verifca un mese più tardi, nel corso di una telefonata tra Obama e Putin. È infatti proprio durante la chiamata che Putin informa l'omologo americano del verificarsi di un non meglio precisato "incidente aereo" nel Donbass. Il volo MH17, operato
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con un Boeing 777 dalla Malaysia Airlines si è schiantato al suolo, a 30 miglia dal confine russo. I primi report suggeriscono che è stato abbattuto e che il missile che ha colpito il velivolo è partito dal territorio controllato dai russi. Putin nega ogni responsabilità.
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Quell'episodio non fa altro che aumentare la tensione. E la violenza. A Minsk, nel loro primo incontro dopo quello in Normandia, Poroshenko e Putin non riescono a trovare una piattaforma comune. Putin continua a negare che i separatisti siano suoi uomini, nonostante le prove
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portate da Poroshenko. Gli ucraini però sono disperati. A Debaltseve, nel Donbass, si combatte una battaglia decisiva, e Poroshenko dice chiaramente ad Angela Merkel che i suoi soldati non sono più in grado di tenere le posizioni. "Se i russi avessero sfondato, avrebbero
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avuto strada spianata fino alle porte di Kyiv", ricorda oggi Christoph Heusgen, consigliere diplomatico dell'ex Cancelliera.
Poroshenko ha bisogno di un accordo, ma a Putin non dice quanto disperata sia la sua situazione. Propone così un cessate il fuoco. Putin inizialmente
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Poroshenko ha bisogno di un accordo, ma a Putin non dice quanto disperata sia la sua situazione. Propone così un cessate il fuoco. Putin inizialmente acconsente, ma dice di dover parlare con i separatisti di cosa ne pensano. Hollande gli dice allora di chiamarli lui stesso.
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E Putin: "Ma io non li conosco". Due ore dopo un emissario inviato da Putin a contattare i separatisti torna con la seguente risposta: hanno rifiutato l'accordo. Merkel e Hollande rendono chiaro al presidente russo che questa scelta avrebbe un costo enorme per la Russia.
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Putin torna al tavolo delle trattative e, dopo aver fatto una telefonata, accetta un compromesso, proposto da Hollande: il cessate il fuoco avrà luogo, ma con un ritardo di 48 ore. Il presidente francese gli chiede allora: "Chi hai chiamato? Probabilmente quei separatisti
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che dici di non conoscere". Ma l'accordo c'è: "Alla fine di questa lunga notte, su un tavolino da caffè, in una sala d'attesa, scrivemmo gli Accordi di Minsk".
Per la cronaca: i separatisti continuarono a combattere anche dopo le 48 ore stabilite. E cinque giorni dopo
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presero Debaltseve, ma senza spingersi oltre, pur mantenendo il controllo della Crimea.
Poroshenko, oggi, la mette così: "Anche se la Russia non ha rispettato un singolo punto, questi accordi hanno dato a Kyiv 8 anni. Otto anni per costruire un'esercito, un'economia, una
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coalizione globale a sostegno dell'Ucraina e contro Putin".
La "prima puntata" di questa serie di articoli è aperta a tutti, le seguenti saranno a disposizione in versione integrale SOLO per gli iscritti. C'è un'intera giornata di lavoro dietro un pezzo del genere. Se volete
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