Oggi parliamo di condoni. De Mita e Andreotti ne avevano attivati tre. Uno sui redditi, uno sui fabbricati, uno sull'Iva. Dal primo e dal secondo si aspettavano, nel 1989, rispettivamente 4.420 e 1.497 miliardi. Ne arrivarono 64 dal primo e 139 dal secondo. 
Andò meglio con l'Iva. Si aspettavano 3.520 miliardi ne raccolsero 727. Non bastavano nemmeno per coprire i 900 miliardi destinati a costruire o riammodernare gli stadi per i campionati mondiali di calcio. Fortunatamente c'erano le imposte dirette che andavano a gonfie vele.
Ricordo che qualcuno scrisse che erano "gli ultimi bagliori di un benessere indimenticabile. Il futuro sarà nero per questo Paese". Forse gli ultimi bagliori per i cittadini. per i politici diciamo i penultimi.
Carli conosceva bene quei meccanismi. Il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo non doveva più crescere. Il bilancio dello Stato doveva chiudere con un avanzo primario. E alzò il tiro. "Lo faremo prima del 1992".
Puntare al pareggio di bilancio era l'unico modo per sottrarsi al soffocamento da troppi debiti. Difficile dire esattamente dove si ponga, per un debito pubblico, il punto di rottura, il crack finanziario. Meglio sarebbe evitare di scoprirlo.
Quando Andreotti arrivò a Palazzo Chigi, nei dieci anni precedenti (dall'80 all'89) le imposte dirette erano cresciute di cinque volte, da 37mila miliardi a 170mila miliardi. Di oltre 5 volte gli interessi sul debito. Da 20 a 107 miliardi.
Il prodotto interno lordo della nazione invece si era moltiplicato solo per tre. Il peso degli interessi, che dieci anni prima assorbivano un ventesimo della ricchezza, era quasi raddoppiato. Aumento il debito, aumentano gli interessi, aumentano le tasse...
