Non avrei mai immaginato.
Di arrivare a Buchenwald intendo. Dopo essere passata per il campo di smistamento a Bolzano ero finita sulle colline dell'Ettersberg, a circa otto chilometri da Weimar, nella regione della Turingia, nella Germania orientale.
Dopo la destituzione di Mussolini, l'affidamento del governo a Badoglio e la firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi volevano arrestare tutti i regnanti d’Italia.
Io invece ero dovuta partire per Sofia, per dare una mano a mia sorella Giovanna, il cui marito, Boris di Bulgaria, era in fin di vita.
“Suo marito è in Germania e vuole parlare con lei”, mi disse.
Era una trappola. E l’arresto.
La baracca nel campo è la numero 15.
Una baracca destinata agli “ospiti di riguardo”.
Nessuno deve sapere il mio vero nome.
Da oggi, mi hanno detto, dovrò essere frau von Weber.
La vita al campo è durissima.
Per scherno i secondini mi chiamano Madame Abeba.
Malgrado i divieti, la notizia si è fissusa tra i prigionieri italiani del campo.
“La figlia del Re si trova a Buchenwald”.
Mangiavo pochissimo e quel poco lo offrivo a chi aveva più bisogno.
Fu così che diventai pelle e ossa.
Fu però un’esplosione durante un bombardamento alleato, il 24 agosto del 1944, a uccidermi.
O forse perché pensava che avendo sposato un principe tedesco fosse la sicuro.
Quello che videro fu qualcosa di sconvolgente.
Come era potuto accadere?
E come gli abitanti di Weimar avevano potuto accettare tutto quello che accadeva nel campo?