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#MdT 8 ottobre 1943
Non avrei mai immaginato.
Di arrivare a Buchenwald intendo. Dopo essere passata per il campo di smistamento a Bolzano ero finita sulle colline dell'Ettersberg, a circa otto chilometri da Weimar, nella regione della Turingia, nella Germania orientale.
Eppure sono qui, davanti a un cancello in ferro con la scritta “Jedem das Seine”, “A ciascuno il suo”.
Suo chi, suo che cosa? Che vuol dire?
Basta aspettare. Per capire cosa significa essere arrivati all’inferno: l’inferno del campo di concentramento di Buchenwald.
Sono Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana, principessa d’Italia, Etiopia e d’Albania.
Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro. Proprio io, che aveva persino ammirato Hitler.
Che per i miei quattro figli mi aveva conferito la croce al merito.
Di quello ne andavo persino orgogliosa.
E ora sono qui.
Io, che mi ero sposata il 23 settembre 1925 con il principe tedesco Filippo, Langravio d'Assia-Kassel, figlio del Langravio Federico Carlo d'Assia-Kassel.

E poi quel maledetto viaggio.
Se non fossi partita per Sofia, a fine agosto, le cose sarebbero andate diversamente.
Dopo la destituzione di Mussolini, l'affidamento del governo a Badoglio e la firma dell'armistizio con gli alleati, i tedeschi volevano arrestare tutti i regnanti d’Italia.
Per questo Vittorio Emanuele ed Elena, lo stesso Badoglio, erano fuggiti al Sud, lasciando il Paese nel caos.
Io invece ero dovuta partire per Sofia, per dare una mano a mia sorella Giovanna, il cui marito, Boris di Bulgaria, era in fin di vita.
Era morto dopo quattro giorni.
Venuta a conoscenza di quello che stava accadendo in Italia, ero ripartita per raggiungere i miei figli.
Dalla Romania, poi a Bari e da lì a Chieti Scalo.
E la corsa in Vaticano dove avevo riabbracciato i miei figli custoditi dal Cardinal Montini
Poi quella dannata telefonata dall’ufficio di Kappler.
“Suo marito è in Germania e vuole parlare con lei”, mi disse.
Era una trappola. E l’arresto.

La baracca nel campo è la numero 15.
Una baracca destinata agli “ospiti di riguardo”.
E’ ai limiti del campo e dentro c’è solo una coppia, un ex deputato socialdemocratico tedesco ex ministro Brenschiel e sua moglie.
Nessuno deve sapere il mio vero nome.
Da oggi, mi hanno detto, dovrò essere frau von Weber.
La vita al campo è durissima.
E’ vero, la baracca è riservata a prigionieri particolari e il vitto è quello delle SS (leggermente migliore di quello che ricevono gli altri prigionieri), ma ero andata da Kappler per quella telefonata con un vestitino nero e quello ho indosso.
Ho freddo, ma le mie richieste di vestiti e biancheria vengono sempre sempre negate.
Per scherno i secondini mi chiamano Madame Abeba.
Malgrado i divieti, la notizia si è fissusa tra i prigionieri italiani del campo.
“La figlia del Re si trova a Buchenwald”.
Gli italiani cercarono di aiutarmi.
Mangiavo pochissimo e quel poco lo offrivo a chi aveva più bisogno.
Fu così che diventai pelle e ossa.
Fu però un’esplosione durante un bombardamento alleato, il 24 agosto del 1944, a uccidermi.
Non subito. Avevo bruciature ovunque, contusioni e il braccio sinistro maciullato. Fui portata trasportata in una camera e lì mi lasciarono. Senza cure. Peggiorai. La cancrena. Poi l’amputazione del braccio. Non vi dico come.
Me ne andai il 28 agosto. Dissanguata. A soli 42 anni
Così morì Mafalda di Savoia nata principessa d'Italia,d'Etiopia e Albania. Grazie a un prete boemo, la salma non venne cremata, ma seppellita in una fossa comune. “262 donna sconosciuta”.Furono alcuni prigionieri italiani a ritrovare la sua tomba. Riposa nel castello di Kronberg
So cosa vi state chiedendo. Perché il re non ha avvertito la figlia del pericolo? Non si sa. Probabilmente troppo impegnato a scappare, o forse per una mancanza di coordinazione.
O forse perché pensava che avendo sposato un principe tedesco fosse la sicuro.
L’11 aprile 1945 gli americani liberarono il campo di Buchenwald.
Quello che videro fu qualcosa di sconvolgente.
Come era potuto accadere?
E come gli abitanti di Weimar avevano potuto accettare tutto quello che accadeva nel campo?
Il comandante americano non si dava pace.
E prese una decisione.
Con un’ordinanza costrinse tutti gli abitanti di Weimar a visitare il campo. "Perché devono vedere l’orrore".
Il giornalista Edward R. Murrow raccontò cosa vide in quel campo.
Lo raccontò alla radio.
Concluse il suo intervento con queste parole:” .... Se vi ho sconvolto, con questa cronaca di Buchenwald, non me ne scuso.”
Per non ripetere gli errori conoscere la storia è importante, ma non basta. Serve guardare in faccia l’orrore che quel passato ha generato.

Perché in quei campi, i primi ad essere sconfitti furono gli occhi.
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