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Di solito scrivo poco, in questo periodo anche meno. È un periodo di grande lavoro.
Lavoro coi disabili e stiamo inserendo un nuovo utente. Dato che però la parola "utente" è molto fredda, per comodità lo chiamiamo Giuseppe.
Giuseppe arriva da un'altra residenza, per anziani, dove lui, disabile, c'entrava poco.
Nelle case di riposo il personale è scarso. Non mi attardo su giudizi, è ora di capire che l'assistenza qualificata costa e se si taglia ossessivamente sui costi, si perde in qualità.
Giuseppe era inseparabile da una borsa della spesa, dove teneva quello che reputava "casa": giocattoli rotti, riviste spiegazzate, un pinguino peluche, un cuscinetto, alcuni indumenti sporchi.
A 6 ore dal suo ingresso siamo riusciti a farci consegnare gli indumenti, entro un'ora e mezza glieli abbiamo restituiti, puliti e asciugati. Li abbiamo sistemati insieme nell'armadio.
La mattina dopo Giuseppe ha disfatto la borsa, ha sistemato tutti gli oggetti nel comodino e non li ha più considerati. Che sia arrivato a "casa"?
Giuseppe cammina solo all'indietro, c'è scritto sulla relazione. Probabilmente per guardarsi le spalle. Ora cammina in avanti, seppure con molta circospezione.
Ieri siamo andati al bar. Aveva paura, gridava, era immobile sulla soglia e non voleva entrare. Sarà mai stato al bar?
Dopo i 5 minuti 5, credo i più lunghi della mia vita, gente che guardava curiosa, il barista preoccupato, i soliti "Signora, ha bisogno di aiuto?" (Non aiutatemi, per la carità!) siamo entrati.
Abbiamo bevuto la Cocacola che c'è andata su per il naso, abbiamo sputacchiato patatine e arachidi, abbiamo ascoltato la musica.
Abbiamo persino alzato la testa e abbiamo guardato in giro. Abbiamo dato timidamente la mano al barista.
Questa notte ho sognato Giuseppe, l'ho sognato di sogni confusi: e mi sono ricordata dello scritto di Danilo Dolci.
