Thread by @AndreaSpanu6

I sovranisti NoEuroNoEuropaItalExitSubito
fanno sempre molta ironia quando qualcuno scrive che, sganciati da UE ed €, finiremmo più come l’Argentina che come gli USA o il Giappone. E iniziano snocciolare primati come: “Siamo la tot-esima potenza industriale del mondo!”,
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“Facciamo parte del G8!”
“Abbiamo esportato la Vespa”
“Siamo dei geni, siamo creativi”
“Spaccheremo tutto con il nostro export”

Ora: l’Italia ha sicuramente punti di forza e no, non finirebbe come alcuni Paesi subsahariani. Ma la realtà è che i bei tempi del “miracolo”
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sono durati abbastanza poco, sono stati possibili grazie ad un formidabile e difficilmente ripetibile concorso di fattori storici, demografici e geopolitici, e non c’è quasi nulla nel mondo di oggi che combaci con essi.
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La Penisola annoverava grandi artisti, eccellenti artigiani, intraprendenti mercanti anche mentre il 90% della popolazione conduceva una misera vita fra i campi e il bestiame, vivendo in ristrettezze, nelle semplici gioie e nei frequenti dolori di una vita frugale.
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I periodi di vera accelerazione industriale sono stati pochi, collocabili a cavallo fra fine Ottocento / inizio Novecento; e tra metà anni ‘50 / inizio anni ‘60. Il roboante “miracolo economico” fu possibile grazie all’abbondanza di manodopera, alla collocazione
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internazionale “obbligata” che era valsa all’Italia anche un fiume di dollari, alla grande necessità di case e infrastrutture, e anche - guarda un po’ - al mercato comune europeo che iniziava a svilupparsi e agevolava le esportazioni. Certo, anche all’impegno e alla visione
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di alcuni grandi industriali e di milioni di italiani che lavorarono sodo. Oggi molti di quei fattori sono completamente mutati o scomparsi, e riproporre le immagini gaie del Paese che scopriva euforico la libertà delle quattro ruote, la comodità della lavatrice e la carne
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in tavola è un’operazione-nostalgia efficace, ma ingannevole. E che fra l’altro cancella le evidenti e preoccupanti falle che già si stavano aprendo dalla fine degli anni ‘70 e negli anni ‘80.
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Suggerire continuamente che “fuori dalla gabbia dell’€” e dal mercato comune c’è pronta un’età dell’oro, che le inespresse potenzialità dell’Italia potrebbero finalmente scatenarsi mentre ora sono tarpate dai cattivoni nordici invidiosi, è un racconto per bambini.
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L’Italia si è ripiegata in un cocciuto e spesso compiaciuto rifiuto di modernizzarsi, spesso vagheggia ancora le virtù della micro-impresa familiare, si racconta potenzialità che senza una messa a sistema e una forte direzione di politica industriale non esistono.
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E ogni volta che frana di un altro scalino, invece di chiedersi se non sarebbe il caso di riformarsi, reinventarsi e smetterla con il culto di una manciata di anni, si guarda intorno ingrugnita per dare la colpa a un nemico.
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